Le arance essiccate sono perfette per decorare l’albero -viene proprio magico- ma anche per comporre delle meravigliose ghirlande o ancora per la preparazione del poutporri. E per confezionare regali ne vogliamo parlare? Quanto sono belle le arance sopra i pacchi confezionati magari con carta grezza passamanerie, cordoncini e merletti in pieno stile vittoriano?
Cosa da non sottovalutare rendono la casa profumata e regalano quell’atmosfera calda, agrumata e incredibile. L’odore dell’arancia nel Camino-nella conca-nel forno a pietra racconta tutta la mia infanzia. Papà lo faceva sempre. Buttava le bucce nel forno a pietra che abbiamo in cucina o nel camino nel salone. Ricordo il gesto. Il profumo. Mangiare in piedi davanti al forno o accollati vicino a camino, quelle buonissime e succose arance del giardino. Niente di questo potrà più tornare ma quell’odore nessuno me lo toglierà mai. Come un passaporta per ritornare lì. Tra i ricordi più belli e importanti di una vita. E dell’eternità stessa.
Al sole?
Sì, si essiccano anche al sole. E in Sicilia o in luoghi particolarmente ricchi di raggi si può anche fare. Dicembre qui è molto mite e ho provato diverse volte. Quello che non aiuta chiaramente è l’umidità.
Con l’essiccatore?
Il metodo sicuramente più lento ma onestamente vincente. Rispetto alle arance fatte al forno o sul termosifone trovo che quelle essiccate lentamente (per 12 ore circa o più, dipende dalla qualità dell’arancia e dallo spessore della buccia) durino molto di più.
Al forno?
Metodo più usato e infallibile. Il segreto sai qual è? Regolarti con il forno. Tutti danno direttive precise: tot minuti tot temperatura. È una bugia. Posso dirlo senza offendere nessuno? Le arance sono tutte diverse. Hanno una consistenza, una buccia, uno spessore completamente diverso e cambiano a secondo della qualità, del periodo e della provenienza. Fai così: le tagli no troppo sottili. Le metti sulla teglia, meglio senza carta forno o alluminio, e provi prima a 50/70 per quattro ore (ma dipende dal forno). Poi aumenti leggermente non superando i 90/100 fino a quando sono completamente disidratate. Alcune ti accorgerai che impiegheranno meno tempo di altre. Non farle portando subito a temperature alte perché tendono a bruciare la buccia e non seccare completamente la polpa. Risultato? Macchiano, sono umide e ammuffiscono in fretta.
Sul termosifone?
Un altro metodo infallibile è sicuramente il termosifone (a patto che non sia troppo basso o troppo alto. La giusta via di mezzo). Si mette un canovaccio pulito molto leggero meglio se di fibra naturale e poi le arance tagliate sopra che andrai a girare per bene una tantum. Dipende chiaramente da quanto sta acceso il riscaldamento, dalla temperatura ed è sicura un’operazione più lunga e macchinosa del forno e dell’essiccatore. Ma si può fare senza alcun problema. Ti dico subito che potresti starci anche una settimana se non addirittura di più. Vengono perfette e disidratano tantissimo ma questo metodo, diciamo, è per i più pazienti (ovvero non è fatto per me, inciso).
Come le conservo?
All’asciutto e mai all’umido. Con stecche di cannella e anice stellato in barattoli di vetro e poi confezioni, decori, arredi, addobbi come preferisci. Alcuni caramellano le fette con acqua e zucchero. Vengono più lucide e tendono a forma una sorta di “resina” lucida sopra la polpa. Per mio gusto, non le preferisco. E tendono a consumarsi e deteriorarsi prima se la specchiatura non è fatta a regola d’arte. Si perde addirittura un po’ il carattere rustico. Non sono assolutamente preparata sull’argomento perché dopo il primo tentativo ho mollato senza remore.
Un ricordo
È come se lo sentissi ancora quello stivaletto rosa imbottito da neve allacciato stretto. Io che affondo il piedino sulla neve, papà che mi tiene per mano. Io con la mia tutina rossa, lui con la sua blu e gli scii.
I negozietti di souvenir stracolmi di braccialetti fatti di lava, di pupi siciliani, teste di Moro, miele dell’ Etna, crema al pistacchio e magliette con su scritto “Etna”. A 1900 e più metri d’altezza al rifugio Sapienza nel versante meridionale che vedo affacciandomi dalla finestra da quando sono nata.
Tiravo papà per entrare dentro e la richiesta era sempre la stessa. Alzavo lo sguardo “papà! La macchina fotografica per favore!”. “Certo Vita mia”. E in pochi secondi i miei occhi erano stretti all’obiettivo e la manina attaccata al bottoncino rumoroso. CLICK CLICK CLICK. E dentro le immagini della lava, del vulcano dormiente, degli zampilli di fuoco sul cielo.
Mi attaccavo al collo la macchina fotografica di plastica e mi sentivo una grande fotografa, una ricercatrice di lava, un’avventuriera tra lapilli e ceneri con il mio braccio destro. Il più forte, il più bello, il più generoso. Poi via sulle spalle di papà a bere cioccolata calda.
L’altro giorno sono entrata. L’ho comprata da sola. Non avevo la tuta rossa e neanche gli stivaletti rosa ma quando sono uscita mi sono sentita esattamente felice come allora. Sono rimasta una ricercatrice di lava e un’ avventuriera tra lapilli e ceneri. Dovevo solo ricordarmene. ✨E tu eri lì che sciavi poco più in alto con la tuta blu.