Ricette Vegetariane e Vegane

La Torta Pasqualina (e la scheda scaricabile)

Trascorro le giornate assordandomi con l’album High Violet di The National. Ci fosse una manopola nel Bose o Ipad o diavolerie elettroniche forzerei verso destra fortissimamente fino a spaccarla. Perchè non è mai forte abbastanza come vorrei. Anyone’s Ghost mi scioglie un po’ i muscoli indolenziti della spalla mentre svolgo sempre gli stessi identici movimenti. Inquadro. Metto a fuoco. Scatto. Dopo aver Impastato. Lasciato lievitare. Infornato.

Attratta da quel gazebo abbandonato all’inverno ho attraversato il gradino della vetrata respirando una primavera diversa dagli inverni passati. Uscita sulla terrazza, teatro di dondolii notturni e dimora di nani da giardini sagacemente nascosti, mi sono fatta una tirata di vita desiderando un po’ di nicotina. Ho raccolto fiorellini gialli da un vaso che dovrebbe illuminarsi se solo attaccassi la spina alla presa a stagna. Ho sempre pensato che fosse una presa immersa in uno stagno con fili elettrici composti da micro rane da 20 watt cadauna. Essendo cresciuta tra corti circuiti, lampade di emergenza e pozzetti incassati dentro i  muri trovo sempre analogie; è poi liberatorio immaginare me stessa come un’entità elettrica.

Sono un filo scoperto abbandonato in mezzo ad una tempesta. Fuoriescono dal mio cavo diversi fili colorati che attraggono per qualche strana ragione. Suppongo solo gli stolti perchè è chiaro. Si sa. Toccandoli il risultato non cambia in nessun pianeta: è la fine. Sono un filo scoperto abbandonato in una tempesta e basterebbe solo un po ‘di buon senso per capire che non bisogna avvicinarsi. Del resto non posso essere sia un filo che un  cartello “non avvicinarti”.

Un filo non può essere anche cartello. E’ un filo.

Buco uova nel lavandino, per colorarne i gusci,  e per la prima volta lo trovo.Trovo  un tuorlo nero come presagio di una tragedia che non riesce a colpirmi. La puzza schifosa aleggia in casa sporcando anche quella pochissima aria pulita e vera che era rimasta, conservata con cura. E’ la mia calma a sorprendermi. Non mi scompongo ed emetto gridolini da donnetta. Non spruzzo bombolette di oust nè mi gira la testa . Spingo piuttosto con l’indice il tuorlo verso lo scarico del lavandino. Con decisione. Tocco il lerciume e lo spingo via senza un minimo cenno di tachicardia.

Ho fretta del resto. Devo colorare uova, attaccare orecchie anche al termoarredo e capire dove procurarmi lo stampo per infornare la colomba visto che ho trovato le mandorle freschissime che cercavo.

Sono un filo scoperto abbandonato in una tempesta. Prima però mi preoccupavo di chi avrebbe conosciuto la fine toccandomi. Per questo cercavo di essere anche un cartello con su scritto “non avvicinarti”.  Adesso non me ne importa nulla perchè era semplice eppure non avevo capito che:

1) Se sei filo non puoi essere cartello

2) Se hai cercato la fine toccandomi, non è colpa mia. Ma tua. Del resto io sono solo un filo abbandonato in una tempesta. I presupposti dovevi conoscerli tu, mica io. E il filo abbandonato nella tempesta oltre a ticchettare velocemente considerazioni mentre in forno ha budini dell’Artusi (quest’anno ricorre il centenario a proposito sempre di eventi ) continua incessantemente il suo impervio cammino pasquale. L’intenzione è quella di omaggiare (e profanare) le principali ricette regionali. Tradizione Italiana vuole che per la pasqua e la pasquetta si prediligano ricette a base di lievitati come pane, ciambelle dolci e salate da servire con salumi e uova. Lo stretto necessario insomma per cestini da portare durante gite fuori porta. Un tripudio di uova, pane e ricotta in tutte le versioni possibili e immaginabili.

Mi verrebbe quasi da dire evviva considerando che le uova e la ricotta mi sono sempre piaciute  quanto un coniglio in agrodolce arrotolato nel lardo di colonnata e i lievitati li evito come la peste bubbonica. Suppongo che il mio tofu e seitan a forma di casatiello faranno un figurone. Ed anche io non avrò nulla da invidiare a questo tripudio golosissimo (?)

La Regione Campania, mia perversione culinaria da sempre, non me ne vorrà se dopo la profanazione del Babà e della Pastiera (presto online. Ale mi odierà. E’ per questo temporeggio) c’è in arrivo una variazione che mi provocherà le antipatie dell’intero territorio. Che San Gennaro mi perdoni. Oltre l‘infornata di pani, focacce, torte salate e ciambelle  imbottite con cotechini e agnelli ci aspetta anche una discreta infornata di mise en place pasquale, giusto per condividere idee e quant’altro. Oggi è la volta della Torta Pasqualina. Lievitato tipico ligure, nonchè regione preferita ( a parimerito con l’Emilia Romagna) del Nippotorinese. Il piccolo pelato difatti oltre ad essere semplicemente fiero confinante ligure associa l’idea di questa meravigliosa terra al mare, sole, vacanza, spensieratezze e credo proprio: primi baci e scorribande. Mi racconta spesso della sua casa in quel di Genova, dove vorrebbe portarmi per mangiare chilate di focacce. Momenti idilliaci interrotti dal mio innegabile romanticismo “oh però io voglio stare con Lisa!”. Perchè semmai dovessi mangiare questa benedettissima focaccia ligure sarà proprio con lei, che nel corso dell’ultimo anno ho avuto il piacere di conoscere. Con la sua eleganza, discrezione, cortesia e sconfinata bravura i fornelli. Se non seguite il suo spazio disdite entro 24 ore il vostro pacchetto internet giornaliero, grazie.

 In realtà volevo proprio chiedere a lei la ricetta originale della Torta Pasqualina . In ballottaggio c’era anche la ricetta della Sacra Dottoressa Suocera da Torino. Giusto per non profanare come mia abitudine sacri impasti ho pensato bene di affidarmi,  per iniziare a prendere giusto un po’ di confidenza, dall’enciclopedia Regionale italiana. Sia lodata Repubblica e il Nippotorinese. Questa enciclopedia è stata senza ombra di dubbio uno degli acquisti migliori fatti nel corso degli ultimi anni.

La Torta Pasqualina ligure visivamente rievoca quell’immagine di bimbi che corrono come scemi intorno agli alberi, adulti stravaccati sopra plaid imbottiti come tonni e nonne ubriache che rotolano lungo sentieri. Pure dei karaoke improvvisati e rutto libero ma la mia immagine sta per abbandonarsi ad un trash senza ritorno ed è meglio fermarla. Quella meravigliosa baldoria da pic nic. Quella spensieratezza di ingurgitare roba pesantissima forzando trachea ed esofago arrossati già da chilate di cioccolato. Solo una volta ho fatto uno psuedo pic nic; in effetti definirlo tale è come asserire che le inviate di Pomeriggio Cinque siano davvero iscritte all’albo dei giornalisti ma tant’è. Non c’erano nonne ubriache e bimbi scemi intorno agli alberi.

Ma c’era l’unica presenza che nel corso degli anni merita di essere ricordata: un cane. Un San Bernardo abbandonato. Ecco. Quello lo ricordo con affetto e lo reinviterei pure qualora dovesse ripetersi l’evento.

Ammetto senza troppi giri di parole che non sono proprio la tipa da pic nic. Le mie manie di igiene potrebbero farmi compiere un precedente sopralluogo con disinfestazioni. Le mie manie di organizzazione potrebbero farmi costruire piccoli gazebi con comode sedute e nel cestino (inteso come un tir a rimorchio a forma di cestino da vimini. Che dovrei fare costruire per l’occasione con netto anticipo)  da pic nic metterei pure i sottopiatti coordinati e almeno tre diversi tipi di bicchieri.

Un tempo lontano (grazie al cielo) ho apparecchiato anche con bicchieri e tovaglioli di carta, lo ammetto. Un outing che mi costa fatica adesso. Ero sprovveduta, giovane e ancora un filo coperto. Pronto a farmi toccare da chiunque. Ad essere disponibile e tollerante verso la plastica pur essendo predisposta alla ceramica. Ad essere disponibile e tollerante verso l’incapacità altrui di approcciarsi con me in maniera sbagliata.

Ma adesso no. Sono un filo scoperto. Chiaramente scoperto. Non mi nascondo da rivestimenti che non mi appartengono. Sono.  Senza preoccuparmi, giusto per ripetermi che iuvant, se vi è un cartello per i più sprovveduti con su scritto ” attenzione”. Sono un filo scoperto.

Sono diversa. E non devo giustificarmene più.

Chi vuole andare incontro alla fine avrà le sue buone motivazioni. Chi sono io per impedire un atto masochistico? Del resto l’importante ho capito:  E’ non ferire me stessa.

E un filo scoperto abbandonato in una tempesta non può ferirsi. Si è abituato al putridume dei tuorli neri. Che spinge senza paura verso lo scarico senza perdere tempo.

Perchè il tempo occorre per dipingere uova. Freschissime. E giocare con loro. Potrei fare giusto 46 nomi di Donne  e poco altro.  A loro va il mio grazie. Al resto va la mia totale indifferenza* disse scostandosi i capelli con fare molto antipatico.

  La Ricetta della Torta Pasqualina la trovi cliccando qui.

Note Finali:

1) Qualora qualche anima pia volesse poi fornirmi di ricette pasquali di famiglia (qualsiasi tipo. Dolce o salato) è chiaramente il benvenuto/a. Qualora infine non abbiate visto Misfits fareste bene a vergognarvi e provvedere immediatamente. Grazie alla mia Cey ( Posso immaginarti come un uovo freschissimo azzurro con un sorriso ibrido tra Stitch e Totoro perfavore?) ho avuto l’ennesima conferma che sì. Gli inglesi ci sanno proprio fare con le serie (quotato 9.1 come Scrubs su IMDB. Non aggiungo altro).

2) Sempre in tema di uova freschissime, giusto per non fare del femminismo ci sarebbe da dire che lo spazio di Cuoco Personale, nella fattispecie il suo nuovo blog andrebbe sponsorizzato e bene per giunta. Un’amicizia nata da pochissimo eppur divenuta importante. Ci sono pilastri talmente solidi come basi che non si può non essere molto più  che ottimisti. Spero in futuro  di avere l’onore e il piacere di poter compiere insieme a lui qualche azione culinaria in formato padelloso,  fotografico o qualsivoglia genere. Nonostante il tempo mi sia nemico purtroppo; perchè fosse per me comincerei sin da subito. Visto che è giusto divulgare il genio quindi, vi rimando allo spazio personale di quello che è un gigante della cucina e che ha tutta la mia stima.

Essendo allievo nientepopodimenissimoche di Gualtiero Marchesi e avendolo omaggiato pochi giorni fa con queste bellissime parole chiuderei anche io con una frase del grande Maestro:   “Un grande cuoco è solamente un bambino che gioca tutta la vita a fare un mestiere da grande”.

Matteo non sono nè mai sarò una cuoca ma amica di un grande cuoco bambino per tutta la vita, sì.

3) Potete far finta adesso di entusiasmarvi insieme a me per la neonata sezione Light, perfavore?

4) No. Non ho avuto ancora il coraggio di accendere il cellulare ma prometto che domattina provvedo. Credo.

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Iaia
Iaia
Grazia Giulia Guardo, ma iaia è più semplice, è nata il 12 12 alle 12. Il suo nome e cognome è formato da 12 lettere ed è la dodicesima nipote. Per quanto incredibile possa sembrare è proprio così. Sicula -di Catania- vive guardando l’Etna fumante e le onde del mare. Per passione disegna, scrive, fotografa, cucina e crea mondi sorseggiando il tè. Per lavoro invece fa l’imprenditrice. Digitale? No. Vende luce, costruisce e distrugge. Ha scritto un libro per Mondadori, articoli per riviste e testate e delira pure su Runlovers, la comunità di Running più famosa d’Italia; perché quando riesce nel tempo libero ama fare pure 12 chilometri. Ha una sua rivista di Cucina, Mag-azine, che è diventato un free press online. È mamma di Koi e Kiki, un labrador color sole e uno color buio, mangia veg da vent’anni, appassionata di cinema orientale e horror trascorre la sua giornata rincorrendo il tempo e moltiplicandolo.

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