Ricette Vegetariane e Vegane
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Tiramigiù: il dolce immancabile per Halloween

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La ricetta è della pasticciera Valentina Gigli. Faccio questa versione ormai da decenni apportando qualche modifica e devo dire che non ho mai cambiato perché ha sempre riscosso un incredibile successo.

Ingredienti

500 grammi di mascarpone, 500 ml di panna da montare, 8 tuorli (ma anche meno senza problemi perché la versione principali ne prevedeva tanti), 120 grammi di zucchero semolato bianco, savoiardi, caffè quanto basta. Se non vuoi adoperare la panna, monta semplicemente gli albumi.

Monta a neve fermissima la panna che hai messo precedentemente in frigo. Conserva sempre in frigo mentre prepari il resto. Nella planetaria (io lo faccio così ma puoi usare uno sbattitore elettrico o olio di gomito) lavora i tuorli con lo zucchero e quando il composto sta montando aggiungi un pizzico di vaniglia (facoltativo)  e pian piano incorpora il mascarpone senza fare smontare il tutto. Una volta che hai ottenuto un composto denso e compatto tira fuori la panna montata dal frigo e incorpora con movimenti dal basso verso l’alto. Il composto risulterà bello compatto e omogeneo. Conserva in frigo prima di usarlo.
Inzuppa i savoiardi nel caffè.

Procedi adesso alla preparazione classica del tiramisù: Strato di crema sotto, strato di savoiardi inzuppati e ancora crema. Tra uno strato e l’altro una spolverata di cacao amaro in polvere.

Decorazioni

Per le decorazioni ho usato dei savoiardi a metà intinti nel fondente per fare le lapidi. E poi ho scritto Rip con la classica glassa. E degli Oreo per i pipistrelli: le ali del pipistrello sono Oreo a metà e gli occhietti di zucchero li trovi facilmente in commercio praticamente ovunque (altrimenti su amazon)

Lasagne di Pane carasau con pachino, caprino e pecorino

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Quando ho aperto il pacco di Cri ho pianto. Preventivamente il Nippotorinese aveva preso dei kleenex, dimostrando di conoscermi ancor più di quanto io stessa. E’ arrivato ormai mesi fa e nonostante le sensazioni siano vicine mi rendo conto sempre più di appartenere talvolta ad un’altra dimensione.

I miei isolamenti corrispondono a questi salti nel buio dove lo spazio e il tempo non esistono più. E mi vedono fluttuare in un infinito di assenza. Il disegno di Mattia e il ricordo della mia promessa mancata di ricambiare sono come martelletti sul ginocchio. Gli stessi per osservare se una reazione di riflesso esiste oppure no.

La Sardegna, come Roma, io l’ho sempre immaginata  dai racconti di papà. La gentilezza, la fierezza e l’orgoglio. La durezza costruita su un millefoglie di fragilità. E i sorrisi. Tanti.

Quei mille mila strati di pane carasau sono stati fondamentali per capire l’essenza di tutto questo. Qualche fetta era rotta. Qualche altra era un po’ stropicciata. Nel complesso però erano integre e felici. Cri le aveva avvolte per bene e si è preoccupata di come fosse andato il viaggio. Se avessero resistito o meno alle incurie di mani frenetiche.

Perchè Cri è una mamma.

Una di quelle che vorresti essere. Che si preoccupa per il pane e per te. Che cerca di mettere paracolpi per non farti sbandare troppo ma che ti lascia schiantare faccia a muro giusto per abbracciarti un po’.

Sono stata lì a fissare il contenuto ripercorrendo le parole. Quelle che non hanno mai avuto un suono ma che in un mondo sordo, come il nostro, hanno la capacità di essere sentite ancor più forte.

 

Il Pane Carasau fino a quando avrò fiato in corpo mi ricorderà sempre la mia Cri. Al supermercato tra dieci anni quando mio figlio mi chiederà “cos’è?” sarà semplicissimo spiegargli che è l’amicizia.

Complicata da trasportare. Pericolante. Fragilissima. Facilmente fratturabile. Devi riuscire a prendertene cura.

E’ infatti un ingrediente che non so miscelare bene. Mi danno ragione anni di amicizia buttati alle ortiche nonostante quel “meglio così” lampeggiante non abbia mai le lampadine fulminate ma aumenta piuttosto di wattaggio ogni giorno che passa.

E questo Cri lo sa. Conosce le mie paure e senza farmele notare va avanti. La sua capacità di cambiare le sorti di un pomeriggio con un sms che parla di tende da Zara Home non è poi così sorprendente. Leggevo Cecilia e mentre tiravo su il muco perdendomi tra le parole  non ho potuto fare a meno di pensare che Cri corrisponda ad un (quel)  luogo.

“Ci sono dei posti di cui senti la mancanza ancora prima di conoscerli quasi come se fossero destinati a te, quasi come se tu fossi destinato ad amarli e loro a ricambiare. Chi ti ama c’è sempre, c’è prima di te, c’è prima di conoscerti”.

Ecco se potesse valere anche per le persone credo che questa frase sia stata scritta per te Cri.

Non credo di essere nelle condizioni psicofisiche di proseguire nuotando in un laghetto di emozioni e sentimenti (e non c’è neanche un salvagente santocielo!) ma la prima ricetta che ho preparato con il pane Carasau è stata una semplicissima lasagnetta fredda senza troppe pretese. Un’idea carinissima e sfiziosa per un primo o anche un piccolo appetizer che bisognerebbe davvero tenere in considerazione.

Adesso ho un disegno da fare per il mio nipotino e una promessa da rispettare. Quella che tra di noi sia “per sempre” non c’è bisogno di farla.

Lo so. E basta.

Lasagne di Pane carasau con pachino, caprino e pecorino

Bagna leggermente in acqua freddissima il pane carasau senza inzupparlo. Taglia i pomodorini. Procedi all’assemblaggio della lasagna alternando i pomodorini al caprino e spolverate di percorino. Rosmarino fresco e fantasia.

Il Pane (un po’) brioche alla mela

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Quando l’ho visto sfornato ho urlato al miracolo. Quando ho visto il sorriso del Nippotorinese e udito il suo “buonissimo” per poco non ho pianto. Non mi era mai venuto un panotto così. Un panbriochione, che vorrei scrivere panbrioscione come se avesse più senso ma non lo ha, davvero pazzesco. Non credevo che fossi riuscita a impastare e sfornare una tale meraviglia e la mollica non fosse appiccicosa ma perfetta. La tagliavi e la fetta era assolutamente integra senza crepe e. E un miracolo davvero. Un miracolo direttamente dal forno. Un entusiasmo assurdo perché visivamente era davvero impensabile. La conferma che il sapore non deludeva le aspettative visive il colpo di grazia. Buffo perché durante la preparazione ho fatto un pasticcio e saltato un passaggio e infilato dentro il succo di mela che in realtà nell’impasto originario non andava affatto. Per sicurezza però lascio la ricetta originale. Purtroppo non ho preso alcun tipo di appunto e quello sbaglio rivelatosi poi vitale e fondamentale per l’ottima riuscita rimarrà sempre un segreto anche per me. L’avessi scritto per tempo non l’avrei dimenticato ma ahimè ricordarmi pure di scrivere un errore, quando giornalmente devo appuntarmi anche “ricordati di bere un bicchiere di acqua”, sarebbe stato chiedermi l’impossibile dell’impossibile.

Questo pane alla mela l’ho scovato in un vecchio numero del mensile che amo: Alice. Tra l’altro su Ipad adesso regalano i vecchi numeri e trovo che sia interessantissimo poter avere gratuitamente una rivista del calibro di Alice senza sborsare un euro sempre a portata di mano. Perché in effetti la rivista di cucina non è che debba essere necessariamente l’ultima uscita. Senza contare poi che Aprile 2004 sarà attuale anche nel 2019 perché tanto sempre di fave, agnello e insalatine di stagione si parlerà. Certamente non ci si troverà la zucca di Halloween o il panettone. Per dire insomma che questo pane rientrava nelle ricettine da asporto. Quelle da portare nel cestino pasquale. A fare compagnia a questa meraviglia una serie di tipologie panose sfiziosissime. Consigliavano di accoppiare questo pane con dei formaggi stagionati molto salati e così il Nippotorinese ha fatto. A dirla tutta ha osato con un salame particolare; non di quelli industriali ma piemontese doc direttamente da Luiset, azienda che lui adora e su cui ho blaterato già all’interno del Gikitchen.

 Ho servito questo paonazzo adorato, che avrei voluto non finisse mai o perlomeno che mi fosse dato in dono da tenere come trofeo sulla scrivania, anche con generose fettine di mela verde e formaggi cremosi dolci. E santapizzetta ho ricevuto davvero tanti complimenti. Non smetterò mai di dire che fotograficamente non corrisponde sempre al sapore. Non mi piace vaneggiare circa una fantomatica bravura che non ho. Al contrario è giusto ribadire quando fotograficamente vi è un riscontro reale o l’esatto contrario. Secondo sondaggi accurati mi è stato detto che questo pane era talmente buono che fotograficamente non poteva essere immortalato. Insomma un successone che mi ha fatto davvero molto felice. Lascio ancor più volentieri quindi la ricetta, felicissima di poter condividere questa meraviglia. E picchiandomi giusto un po’ per non aver appuntato la variazione involontaria che ho fatto durante la preparazione sbagliando clamorosamente.

La Ricetta

 Pan Brioche alle mele (per 4-6 persone circa): 1 chilo di farina, 200 grammi di centrifugato di mela, 8 uova, 100 grammi di burro, 40 grammi di lievito di birra, 1/2 bicchiere di panna liquida, pizzico di sale, 2-3 cucchiai di miele.

In un recipiente versa il miele con la farina e mescola per bene. Unisci il lievito e il centrifugato di mela leggermente tiepido (circa 35 gradi). Inizia ad incorporare le uova una alla volta. Versa il sale, il burro e amalgama fino ad ottenere un impasto liscio e omogeneo. Lascia lievitare 30 minuti (io per problemi vari ricordo di averlo fatto lievitare almeno per il doppio del tempo). Imburra quindi lo stampo da pan brioche e disponi il pane. Spennellalo con un composto fatto di tuorlo e panna liquida e inforna a 170. Fai cuocere 30-40 minuti (il mio per circa 50) e sforna. Fai raffreddare e servi tiepido oppure freddo. In qualsiasi occasione è sempre perfetto.

Ho usato un classico stampo da plumcake in silicone per quanto mi riguarda.

Un’altra versione di questo panbrioche panoso è prevista per le ore 21:21.

Uova di cioccolato con panna cotta dentro? Sì può!

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Qualcosa mi fa sospettare seriamente che io abbia una capacità ; quella di entrare in contatto con persone meravigliosamente particolari. Su Instagram accade l’ennesimo caso, così giusto per dire. In questo frullato di idee, visioni, momenti di vita vissuta non ci si rende conto, o meglio non abbastanza, quanto esattamente può accadere. Se, a maggior ragione, fai tutto senza uno scopo pare poi diventi quasi un’assioma. E’ il caso delle Pastiglie Leone, questa volta. Pazzesco come gli oggetti che per me hanno un significato sentimentale diventino veicolo per questo tipo di conoscenze. Come altrettanto pazzesco è leggere dei ringraziamenti fatti alla mia persona sulla pagina di Facebook ufficiale delle Pastiglie Leone.

Fermi tutti. Quindi non sono io a doverlo fare considerando che sono le prime caramelle mangiate con il Nippotorinese e le stesse che dentro la latta tengono ben saldi sotto forma di zucchero e spezie momenti importanti? Cos’è ? C’è un mondo parallelo dove sta accadendo esattamente il contrario? E’ innegabile quindi che io oltre ad esserne lusingata ( oltre che estremamente imbarazzata) mi godo questo momento inaspettato mangiandomene almeno tre. Di pastiglie. Ma non quelle senza zucchero eh. Me ne mangio tre. All’anice. Con lo zucchero. E non penso a niente. Solo al fatto che un premio devo darmelo, sì. Adesso devo solo reperire al più presto le pastiglie leone alla liquirizia che per qualche inspiegabile motivo scarseggiano nella parte orientale della Sicilia e fare un party a base delle suddette. Creando collanine, braccialetti e sparandomi pure il tubo di cioccolato cremoso in bocca (oh. Se devo sognare voglio farlo in grande). 

Inconsapevolmente questa settimana si è trasformata nella settimana dell’uovo. In tutte le forme, salse e contenuto sto soltanto blaterando su di lui. Ed è la volta dell’ovetto al cioccolato con dentro cosa? tadan! La panna cotta. Sì perché mi ero messa in testa già da un po’ di fare una cosa del genere. Su Pinterest (mannaggia a pinterest!) avevo notato delle uova di cioccolato contenenti creme. E’ ovvio che Pinterest serve proprio a questo. Giusto una come musa ispiratrice perché la maggior parte delle volte non si viene reindirizzati a food blog o annessi e rimangono solo immagini. Proprio per questo amo il mezzo di condivisione pinterestiano. Ti dà un’idea e puoi rielaborarla a tuo piacimento e quello che avevo in mente era proprio un’idea ultra veloce dell’ultimo minuto ma ad alto effetto scenico.

Un’idea veloce ma sfiziosa che poteva chiudere il pasto pasquale in un modo inusuale ma che al tempo stesso come le elaborazioni precedenti potesse essere un segnaposto divertente e particolare tanto da generare curiosità e ammirazione. Visto che con le creme ho giusto qualche problemino mi sono detta: Panna cotta! Perché come più volte è stato ribadito la panna cotta rimane uno dei dolci più semplici e gustosi. Generalmente, a secondo di come viene aromatizzata, poi piace. Perché affondare il cucchiaino e trovarci una volta la cannella, altre volte il cioccolato bianco o l’aroma di pepe rosa sino ad arrivare a una buona vaniglia Bourbon è sempre piacevole. Per questo motivo ho preparato una panna cotta semplicissima con base alla vaniglia e dopo averla divisa in più ciotoline e colorato singolarmente la porzione prescelta, ho infilato tutto dentro un classico ovetto kinder e via. Un’oretta in frigo e tadan! Meraviglia. Certo è snervante trovarsi una matta invasata per casa che fa prove. Ogni festività diventa un’agonia e dura più del previsto. Come quando a Natale qui si è cominciato a novembre e al 25 Dicembre si faceva difficoltà a credere che fosse ancora Natale, considerato il fatto che lo era dal 20 Novembre e con Cey si era addirittura festeggiato il Finto Natale con tanto di Turducken che ancora non ho documentato (santo cielo ma sono in ritardo?). Pasqua è già arrivata da un po’ e si arriverà alla domenica attesa con lo stesso entusiasmo di una craniata sulla testa. L’idea di questa panna cotta nell’uovo la trovo adorabile e non tanto perché è una mia stupida elaborazione ma proprio perché in pochissimi minuti queste uovetta golose e colorate catturano e rapiscono visivamente.

 So già per certo che i più piccolini impazziranno. Il Nippotorinese ha fatto fuori i primi con il cucchiaino e un fare molto glamour e poi si è prestato sotto mio invito a sgargarozzarne (termine che nulla c’entra ma che mi piace e dovevo adoperare) tre tutti in un sol colpo. Oh vien bene a mangiarli anche a morsi perché la panna cotta fredda solidifica. Certo magari la camicia si macchia un po’ ma santapizzetta vuoi mettere la goduria di addentare? Poi si va di candeggio. In pratica si prepara la panna cotta ma se si ha in mente di fare una qualsiasi cremina o budino potrebbe pure andare bene lo stesso e poi dopo aver privato l’uovetto della parte superiore (ed essersela infilata in bocca durante la preparazione) si fa colare dentro la panna cotta (dopo averla opportunamente colorata) e via. E’ un bene però (perché ho fatto la stupidata) farla raffreddare e pure bene la panna cotta altrimenti il calore farà squagliare in dieci nanosecondi l’uovo di cioccolato. Quindi  ledisendgentelmen (che io l’inglese lo so):

  • colorare la panna cotta
  • fare raffreddare la panna cotta
  • privare della calotta superiore l’uovo di cioccolato
  • versare all’interno dell’uovo di cioccolato la panna
  • far riposare in frigo minimo un’ora
  • servire immediatamente tolto dal frigo

Per la panna cotta

500 ml di panna, 4 fogli di gelatina, 1/2 cucchiaino di vaniglia fresca e 4 cucchiai non troppo abbondanti di zucchero

  • fare ammollare in acqua ghiacciata la gelatina
  • fare sobbollire la panna con lo zucchero
  • strizzare la gelatina dopo 15 minuti e buttare nella panna e zucchero che stanno sobbollendo
  • aggiungere vaniglia o aroma preferito
  • terminata la panna cotta
La domanda serissima di oggi è : ma voi l’avete scelto il Menù di Pasqua? Oh perché sto qui a raccontarla ogni giorno sfornando roba incomprensibile ma voi? E’ una società questa eh. Fuori il vostro menù che ovviamente io devo prendere pure spunto.

Anche se già c’è chi  sospetta un bel pollo dal girarrosto. Vorranno mica che io cucini dopo queste tre settimane di prova? Mapppeffarrrvoooore. Ieri mi sono esaltata non poco vedendo su Instagram le uova pulcino di Cri, al secolo conosciuta come il grandeamoremiounicoindissolubilemiglioreamicaèsolomiaviammazzotuttinonviavvicinate Bibi >>>> clicca qui per il Blog e leggitelo tutto Un titolo breve ed efficace.

E sono molto più credibili così eh! Sembrano pelosetti con il ripieno di tonno e tuorlo e maionese (Cri amore c’era la maionese? chesoscemaenontelhochiesto) e hanno pure il prato verde. Nanda ha gridato al miracolo urlando un ” sìììììììì” soddisfatto, annuendo e accarezzando l’icona del Blog di Cri sul suo Ipad ( sappi che ti legge davvero e ha pure visto il video sulla Semi Sfoglia otto volte dicendo ” ma è bravo Mat a tenere la telecamera”. Coredezia) 

Per dire che ritiro tutto quello che ho detto sul Post Le uova Pulcino che hanno riscosso un successo su Instagram pazzesco, dove più di 5.300 persone mi hanno fatto sempre l’entusiasmante domanda ” Sono uova?” ( ma ho risposto solo a 4.800 perché fondamentalmente sono una persona schiva e antipatica)

Che nessuno osi farle come me. Nude e crude senza nulla. Il ripieno peloso uovoso pulcinoso. Questa è la soluzione definitiva. E qui oggi a rischio di non farli arrivare a Pasqua per morte improvvisa da colesterolo a ottocento, ne faccio giusto una quintalata. La verità è che Cri mi ha dato l’ispirazione necessaria per la svolta. Quale? Le zampette. A questi faccini pelosi deliziosi mancano le zampette. E zampette avranno!
(ma come hanno camminato sinora senza? Questo mi chiedo. Solo Pani ha la risposta lo so)

 

Cheesecake chenonèunacheesecake con Chocolat Coulant

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E lo so. C’era un po’ venuta la depressione con il brodino di pollo della cucina taoista. Nani da giardino kamikaze che al grido di “nooooooooo bastaaaaaaaaaaaaa” mi hanno devastato le aiuole e feroci rappresaglie di pupazzetti sul terrazzo che a gran voce urlavano “aridatece er colesterolo! Noi abbiamo detto sì al colesterolo altroché valsoia, pazza!”. E insomma per dire che d’accordo lo yin e yang ma dopo l’equilibrio di brodo di pollo è giusto pure sfondarsi le budella di cioccolato colante e burro. Checcefregaannoi?

E ci mancava la pasticceria francese in effetti. Sottotitolo: noncelapossofarcela.

E allora il cuore coulant de chocolat dovevo prima o poi farlo. Solo che di fare tortini cioccolatosi grondanti proprio non ne avevo voglia; anche perché il Nippotorinese con il tripudio dell’oro nero mi va in paranoia reputandolo eccessivamente lezioso (ma che dna piemontese, patria del cioccolato, ha? che vergogna!). Questo però potrebbe in effetti non essere determinante ai fini del discorso, infischiandomene altamente del nordico. Insomma oh. Nunciavevovoglia. Ma avevo voglia di una tortona enorme e grande. Ma che non fosse una semplice torta. Oh insomma una giornata all’insegna del “e non mi sta bene niente” (nessuno dica “e perché gli altri giorni?”).

Mi è stata bene l’idea, dopo una serie di tentennamenti che generalmente non ho, di una base di cheesecake e una ganache al cioccolato coulant. Per i biscotti della base ho scelto i pan di stelle. Confesso che mi ha mandato in paranoia e non poco il metodo di cottura della ganache coulant. Doveva cuocere dieci minuti ma da brava psicolabile sono rimasta appiccicata al vetro del forno agitando la testa e dicendo “nonono non è possibile. Dieci minuti non bastano nononono”. E infatti l’ho tirata per le lunghe e sono arrivata a diciotto minuti suonati. Eh lo so. Sono una donnetta isterica e malfidata però la crosticina che si è formata con tutte quelle deliziose crepature mi ha convinto solo al diciottesimo minuto. Né un minuto prima né un minuto dopo.

Semmai vi voleste cimentare direi dunque di fidarsi del proprio istinto e non certamente del mio (però per dovere di cronaca devo confessare che i fatti mi hanno dato ragione). In sostanza, anche se vi è l’esatta descrizione all’interno della ricetta poco più sotto, la ganache all’interno dopo diciotto minuti risulterà troppo liquida e vi preoccuperete (molto) ma *inspiriamo espiriamo* la situazione migliorerà dopo qualche ora. Questa torta infatti non va in alcun modo servita subito. Ha bisogno di riposo. Si prepara in pochissimi minuti e il risultato è sorprendente ma per nessuna ragione deve essere gustata sul momento.

Oh ma la cheesecake rimane una soluzione velocissima o sbaglio?

(e giusto per una disgressione linguistica- chiedo aiuto a Max- confesso che per me è indubbio  continuare a declinarla al femminile essendo cake = torta; perchè santapizzetta se per il Banana Bread si usa il maschile giustappunto come IL pane, perché mai dovrebbe essere IL Cheesecake? effiniamola sù)

E mica me ne ero resa conto che ti salva nelle situazione più disparate quando il tempo scarseggia! Poco tempo? Cheesecake! (anche se da oggi alla suddetta domanda risponderò: starobaqui che voleva essere una Cheesecake ed è una Cheesecoulant? comelachiamo?)

Basta sfogarsi un po’ martellando nel sacchetto i biscotti. Spiattellare la base e versare su la crema di formaggio e via: in forno e tanti saluti.

Questa però per l’appunto tutto è tranne che una vera cheesecake e quindi una cheesecakechenonèunacheesecake perché pur avendo una base di biscotti sbriciolati e burro e una crema versata sopra, di formaggio non ve ne è ombra.

E allora fissando sconvolti il monitor vi starete chiedendo: e allora perché diamine la chiami Cheesecakechenonècheesecakechediavoloè?!

Uff. E’ che essendo la giornata “non mi sta bene niente”, ho usato la base classica della Cheesecake che da anni faccio e sopra ho messo una ganache coulant ibrida da una roba di Santin e una di Montersino e una della Gigli e una dinonsochi. In realtà ho fatto qualche variazione a una ganache coulant scovata nel solito forum ammmerigano.

In pratica un’italiana (io) che sbircia forum americani dove fanno ricette francesi (tutto chiaro no?).

L’altra mattina in preda ad un attacco di cheesecakechite (è un termine tecnico culinario) ho pure stilato una lista con tutte le ricettine papabili e le versioni che voglio realizzare (so già che poi diventeranno ibridi così senza sapere bene cosa ci si trova davanti). Ne ho giusto raccolte “solo” una quindicina e confesso di aver sperato in un ritorno immediato di Cey e Fab. Oltre che per godere della loro compagnia, anche per sottoporre questo sfornamento cheesecakechesco (oh ma abbondo di termini tecnici oggi eh?!) al giudice supremo lombardo Fab che oltre ad esserne appassionato è un vero e proprio intenditore. Vengo a sapere poi, durante delle ricerche, che a New York vi è una versione della cheesecake con la panna acida e un’altra con un impasto che contiene pure il tofu (una matta vegana americana che il cielo l’aiuti. NON SOLO SOLA EUUUIUA! ) .

Infine una versione, da non sottovalutare,  con uno strato base simile al pan di spagna. Insomma davvero per tutti i gusti e con le declinazioni più varie.

La cheesecake ormai è di tutti e non solo americana. Ve ne sono versioni internazionali e che sia Giappone o Francia, ognuno la realizza mettendoci del suo. Oltre alle decine scovate in libri e su forum ammmeriiigggani me ne sono inventate altrettante mentre vaneggiavo sul tè matcha per rendere felice la mia Elllllisa e anche alcune in versione salata.

No perché in effetti, chi me lo impedisce adesso di sana pianta di inventarmi una cheesecake salata e intossicare tutti? eh? chi me lo dice che non posso?
(sono nervosa. assecondatemi santapizzetta!)

Ricapitolando brevemente (vabbè brevemente): è una torta semplicissima e che ha un successo sorprendente e assicurato. Ne sono certa perché mi baso sull’assaggio di quasi trenta persone, altrimenti non mi sarei esposta così. Non pagate e iper critiche, hanno detto sì a questa elaborazione ordunque direi proprio di condividerla. L’unica accortezza sarà seguire scrupolosamente due o tre cosette che ho (spero) diligentemente trascritto. E’ facile, veloce e non richiede cotture lunghe ma è altrettanto delicata e complessa nelle manovre.

La Ricetta

Per una torta a cerniera di circa 26 centimetri occorrono: 400 -450 ma anche 500 crepi l’avarizia grammi di pan di stelle, 125-150 ma anche 170 crepi l’avarizia  grammi di burro fuso per la base. No. Non sono cattiva non dicendo le dosi esatte ma dipende dall’altezza che vi piace. A me piace una bella base corposa biscottosa altaaltaaltaalta, ecco. Perché è anche vero che bisogna andare anche un po’ a sensazione e secondo il proprio gusto (non in tutte le elaborazioni chiaramente ma qui sì). Al massimo se non si riesce a ricoprire tutta la superficie della teglia perché non è di 26 centimetri o per qualche assurdo e paranormale evento, mica c’è bisogno di preoccuparsi e mandarmi email dicendomi “ti odioooooooooooooooooo!” (anche se lo capisco). Si sbriciolano altri biscottini e si scioglie altro burro. Amen. Basta pocochecevò?

Per la ganache: 300 grammi di cioccolato fondente al 60 per cento almeno, 250 grammi di burro, 3 uova grandi e 3 tuorli, 125 grammi di zucchero semolato e 1 cucchiaino generoso di vaniglia purissima (lo zucchero può essere diminuito ma direi anche in questo caso: crepi l’avarizia. Non credo sia lo zucchero il problema in questo coma iperglicemico).Per la base il procedimento è semplicissimo: infila i biscotti in un sacchetto e con l’aiuto di un mattarello riducili in polvere. Sciogli quindi il burro a bagnomaria o dentro il micro e versalo insieme ai biscotti dentro un recipiente. Lavora con le mani biscotti e burro liquido in modo da formare una dolcissima pappetta. Qualora non tutti i biscotti si fossero inumiditi (dipende se hai davvero ridotto in polvere i biscotti o ne hai lasciato pezzotti interi) aggiungi un altro po’ di burro fuso. Versa tutto il composto sistemandolo per bene senza lasciare spazi nel fondo di una teglia a cerniera e metti nel freezer per almeno quindici minuti. Nel frattempo prepara la ganache che andrà a coprire questa base. Si dovrebbe mettere nel frigo nella classica preparazione elllosò ma Montersino e Santin con la mania dell’abbattitore hanno fatto sì che io in qualsiasi preparazione decida di far comunque a prescindere riposare nel freezer.

La Ganache è semplicissima. A bagnomaria o nel micro fai sciogliere il cioccolato a pezzi (io ho usato tre tavolette lindt fondenti al 50%, quelle con la confezione argentata. Quanto mi piace dilungarmi oggi). A bagnomaria o nel micro sciogli anche il burro. Se lo sciogli nel micro però non esagerare e cerca di non renderlo liquido. In quel modo il burro cuoce e non va bene. Si deve leggermente liquefare per intenderci. Dopo che hai sciolto burro e cioccolato metti in un altro recipiente le tre uova e i tre tuorli e sbatti vigorosamente con una frusta a mano o elettrica insieme allo zucchero.

Otterrai un composto giallo gonfietto e spumoso. Aggiungi quindi la vaniglia e gira per bene. Con l’aiuto di una spatola adesso unisci il burro insieme al  cioccolato fuso e quando sono ben amalgamati falli incontrare con il composto uova-zucchero incorporando pian piano e girando con movimenti dal basso verso l’alto. Otterrai una ganache, grazie all’aiuto della spatola, molto consistente e soda e scura e goduriosa che ti verrà voglia di inghiottirla in un sol colpo. FERMATI! E prosegui santocielo.

Ottenuta questa ganache versa sulla base dei pan di stelle che hai tirato fuori dal freezer e inforna a forno già caldo a 200 gradi. Dovrai cuocerla per 15 minuti al massimo. No no non mi sono rincitrullita. Per 15 minuti al massimo perché si dovrà leggermente crepare in alto. Se non dovesse succedere prolunga la cottura di altri 3 minuti.

Ribadisco vi prenderà il panico perché essendo molto liquida sarete certi che avete combinato il disastro e mi odierete vivacemente. Pur comprendendo che è cosa sana e giusta odiarmi, calma e sangue freddo.

All’interno pur provando con uno stecchino ti renderai conto che è liquida. Ma uffa!

Non preoccuparti perché questa torta proprio deve colare cioccolato. In realtà la ganache dovrebbe addirittura cuocere molto meno, ovvero dieci minuti.

Tirala fuori dal forno e per nessuna ragione prova con dita, coltellini o forchettine ad affondare nell’impasto. Al massimo con uno stuzzicadenti come già detto. Dovrai farla riposare almeno due ore prima di muoverla e spostarla. Quando la tiri fuori dal forno non agitarti troppo. Posala da qualche parte e amen. Addirittura puoi spegnere il forno e lasciarla lì con lo sportellino aperto (continuerebbe a cuocere però in questo caso. Se ti sei mantenuta bassa con i minuti di cottura allora conceditelo, altrimenti pian pianino tira fuori e lascia raffreddare). Per gustarla nel pieno della sua bontà deve riposare una notte intera o almeno otto ore; se hai troppa fretta il minimo sindacale però sono tre. E’ una torta che non va conservata per nessuna ragione in frigo in quanto con tutto il cioccolato fondente che contiene potrebbe diventare un allegro mattone da lanciare in testa per uccidere passanti. L’idillio si raggiunge appunto lasciandola a temperatura ambiente in un luogo né troppo freddo né troppo caldo. Quando verrà tagliata a fette (io l’ho lasciata riposare dodici- tredici ore) la crosticina lascerà spazio a quel meraviglioso interno colante retto dalla base dei pan di stelle, che difficilmente si potranno riconoscere. Sarà difficile distinguere i sapori dei diversi cioccolati adoperati.

E santo cielo è stata difficile questa telecronaca coulant proprio perché in realtà sono facilissimi i passaggi ma bisogna davvero prestare attenzione perché il pasticcio colossale è in agguato.

So già che non accadrà. Andate fiduciosi e coulaaaaaaaaaaatevi tutti di cioccolato! (fatela eh. Merita davvero questa. Non lo dico mai. Un motivo c’è)

Comunicazione di servizio: Più tardi il Vincitore di “Disegna Maghetta Streghetta”. Io lo so , gne gne gne gne. L’estrazione è già avvenuta gne, gne, gne.

Il Sacro libro di Bodrum

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Ho sempre ricevuto splendidi e indimenticabili regali pieni di significato dai viaggi dei miei genitori,  nonostante quello più importante fosse sempre lo stesso: il loro ritorno. Poco prima che andassi a vivere con il Nippotorinese (c’è un tragico materiale a sufficienza sul mio Blog personale da sei anni a questa parte) al ritorno da Bodrum mi è stato donato questo quaderno dalla particolarissima chiusura e dai decori in stoffa morbidissimi che contrastano fortemente con la durezza del cuoio. Senza particolari riflessioni sull’utilizzo ho scritto sulla prima pagina vuota giallastra “Il nostro primo quaderno di ricette”. L’emozione che provo al pensiero di me che lo sfoglio  tra dieci  anni, insieme a lui, i miei genitori e i nostri figli,  è una di quelle poche cose che mi tranquilizza e rende felice.

Questo contenitore è una traslazione virtuale di qualche pagina e la voglia di confrontarsi ma soprattutto imparare, tutto qui. La prima volta che ho acceso un fornello  è stata due giorni fa ma soprattutto: fino a tre giorni fa non sapevo neanche che la caffettiera si aprisse. Tanto per capirsi sin da subito.

Ah. E non sono mica così seria e apparentemente lucida. Non vorrei spaventarvi. Sono una tranquilla psicolabile visionaria ma sognavo un primo post normale in modo che tra dieci anni , almeno leggendo l’inizio si capisse qualcosa. Mi fermo quindi perchè qui si rischia di non riuscire nell’intento altrimenti.