Ricette Vegetariane e Vegane
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La videoricetta più imbarazzante del web? Eccola.

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La foto purtroppo non rende giustizia a questa meravigliamuffinosa (dalla rete televisiva “Idiozia Channel” non mi sono stati concessi gli altri 15 minuti di vaneggiamento finale. Ringraziate la regia insomma). Fatta con l’orrenda luce artificiale che detesto più di quelle odiose linee di febbre (sì. Durante il videopost sfoggiavo con disinvoltura una temperatura piuttosto alta). Prevedendo che con molta probabilità in casa non sarebbero riusciti a vedere la luce del sole ( i twilight muffins ! Figo! ok non è figo. E’ deprimente, cielo) ho cercato di correre ai ripari alla meno peggio. Trascrivo infine gli ingredienti perchè è comprensibile che non tutti riescano a sorbirsi qualcosa come venti minuti di delirio uditivo/visivo (e pensare che credevo di esser stata sintetica). Ma fidatevi, sono da provare. Ne vale davvero la pena.

La Ricetta

Ingredienti secchi: 320 grammi di farina bianca OO o semi-integrale (ma mai integrale che renderebbe l’impasto secco), 50 grammi di zucchero, 3 cucchiai di lievito, 2 cucchiai di cannella in polvere fresca, 1 pizzico di sale, 150 grammi di cioccolato fondente spezzettato.

Ingredienti liquidi: 1 uovo, 175 ml (mmuulùù) di latte parzialmente scremato, 325 ml di panna fresca, 50 ml di olio di giasole.

In una ciotola unire la farina setacciata, lo zucchero, la cannella,  il lievito e il sale. Incorporare il tuorlo d’uovo agli ingredienti secchi e procedere quindi all’inserimento di quelli liquidi: Latte, panna, olio e albume (non montato a neve! Nonostante sia diviso dal tuorlo Bob dice così. E noi da oggi ascolteremo sempre Bob*inchino) . Girare con poca attenzione nonostante risulti pieno di grumi e non eccedere nella lavorazione dell’impasto perchè potrebbe compromettere il risultato finale. A 180 per 20-25 minuti e si tirano fuori dei muffin che francamente lasciano un po’ basiti per l’inaspettata bontà.

Avevo deciso di incendiare quel cumulo di arroganza e invece inchinandomi al libricino mi sono ripromessa di provarli tutti. Il Prossimo credo proprio che sarà Il Muffin Dulche De Leche. Anzi no quello al matcha. No quello Pamperato Americano Gingerbreadoso. Insomma. Tutti. Voglio provarli tutti. Prometto di non fare più videopost però.

Con la febbre, intendo (ma cambierà poi qualcosa?). Nota doverosa, sì: con la temperatura alta ho ancor più la voce da gallinaspennacchiata, lo so. Non si perda quindi tempo. E’ l’autocoscienza la mia peggior punizione)

E se la televisione ingrassa, santo cielo la cam gonfia come una zampogna. Segnarlo sul taccuino e cercare inquadrature migliori (ci volevano proprio queste ultime due considerazioni finali, non è vero? Vi vedo annuire. Ne sono felice)

 

Panini con Marco (Porco Rosso)

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La bambina, mentre i titoli di coda scorrevano, si è avvicinata con il suo cappottino di paillettes viola alla mamma poco più grande di lei ed infastidita ha sentenziato “fa schifo porco rosso. SCHIFO!”.

Alla genitrice non è rimasto altro che annuire abbassando la testolina insieme al tizio accanto che ingordo manco fosse il padre di Chihiro all’entrata della città incantata davanti ai ristoranti deserti aveva spazzolato qualcosa come tre pacchi di pop corn. Non che conti i pop corn altrui generalmente ma a quanto pare riesco a conteggiare le quantità secondo il rumore emesso. Avesse bevuto anche della coca cola avrei potuto fare lo stesso con i rutti vista l’eleganza ma sono stata miracolosamente risparmiata.

Seduti lì nelle orecchie io sentivo Hana Bi. Seduti lì nel cuore io avevo un dolore fortissimo. Seduti lì  ho dovuto chiedere conferma che davvero nei titoli di coda ci fosse la Mole Antonelliana e che non la stessi immaginando. Seduti lì. In quelle scritte incomprensibili che a lui apparivano chiare ho cominciato a leggere anche io.

La mia vita senza di lui sarebbe stata quella. Non avrei fatto indossare un cappottino di paillettes ad una povera infante ma. Non ci sarebbe stata come colonna sonora dei nostri giorni Hisaishi. Ed anche se Porco Rosso non sarebbe stato comunque solo un film d’animazione. Al ritorno a  casa sarebbe rimasto quello però. Ed invece è stato ascoltarne le note in macchina. Di come Pagot sia un omaggio a dei fumettisti italiani. Di come un Arturo Ferrarin sia realmente esistito. Di come sia stato stupido mettere la traduzione nei titoli di coda sulla parte sinistra.

Ci spintoniamo con il braccio alla scritta Ghibli sul motore e ci commuoviamo abbracciandoci leggendo su un sito americano che. Che all’  Hotel Adriano nella scena finale forse qualcosa di rosso c’è.  Ci confidiamo che vorremo una bimba che chieda un fazzolettino quando la scia bianca degli aviatori sale su. Per sempre. E non ci chieda di comprare le patatine proprio in quel momento. Ma che ancora e ancora voglia  sapere. Sognare. Che non voglia diventare una cantante, una ballerina come in High School Music o un’amica fesciòn di Patty. Che si innamori della cattiveria pulita di Cartis per dirne una.

Tornando a casa ricantando Creep, io come la vecchia che canta di Victor Victoria e lui in quel suo inglese perfetto, si è deciso di trascorrere il nostro ultimo giorno prima che del prossimo week end omaggiando la visione. Mentre preparavamo l’impasto se ne è parlato ancora. Del mio vegetarianesimo. Perché c’entra proprio lui. Il maiale.

Sin da piccola mi rifiutavo categoricamente di mangiare il pollo. Gli altri bimbi urlavano “voglio la coscia! A me la coscia!” ed io quasi ipnotizzata seguivo questi pezzi di carne girare per la tavola. Amavo però  il salame. Un no categorico riservato per la coscia del pollo, tacchino, cavallo e il coniglio. Poveri Animaletti. Ma il maiale no. Il maiale era buono. Un po’ di salame nel pane caldo sì. Il mio preferito. E ancora e ancora. Tutti  graziati tranne lui.

“Panino con il salame?” .” sì grazie”. Entusiasmo. “Pollo e patatine? “-” santo cielo no. Le patatine sì però “. Tristezza. E’ quando ti fai le domande più semplici che si risolve un arcano. “Ma perché rispetto tutti gli animali tranne il maiale?”. Ed è stata la stupida considerazione di un adolescente alla quale sorrido con tenerezza oggi ticchettando veloce perchè un altro capitolo del libro oggi deve finire. Deve, scritto a carattere lampeggianti.

E’ un Panino con Marco. E’ un panino con il salame perché Gina gli dice che “finirai come un maiale arrosto” . E non è vero che “un maiale che non vola è solo un maiale” perché anche se lo fosse, solo un maiale, non sarebbe certo da meno. E tra i fornelli raccontando di cosce,  di maiale, di come ci fosse un’imbarazzante somiglianza con Costanzo, di corde rosse di Dolls e con Hisaishi seduto sul frigorifero che muoveva le dita sui tasti è stata la nostra domenica. Quelle che a volte abbiamo dimenticato. Ma gli sbagli servono a ricordare ed io non dimenticherò più.

Va preparata ascoltando questa altrimenti non riesce. Non abbiamo seguito nessun tipo di ricetta perché troppo presi dalle chiacchiere. Seguivamo delle indicazioni su di un libruncolo vecchio e datato su impasti e roba lievitata ma.

La Ricetta

Ingredienti per almeno 15 panini media grandezza: 480 farina OO, 120 farina manitoba, 200 grammi di latte, 1 cucchiaino di zucchero, 1 cucchiaino di sale, 100 grammi di olio di girasole, 100 grammi di acqua. Cubetti di salame (a piacere), 1 bustina di lievito (oppure un cubetto da 25 grammi di lievito di birra. Io avevo quello secco di Mastro Fornaio e domenica sera troppa poca voglia di uscire dopo essere rincasata dal cinema). 1 Tuorlo per spennellare la superficie dei panini.

Ho infilato tutto nella planetaria (e buonanotte. Sottotitolo), complice il lievito secco che non necessita di altro e fatto impastare a velocità moderata per almeno cinque minuti, preoccupandomi solo di inserire il latte e l’acqua a filo mentre il tutto giravagiravagirava. Messo a riposare per un’oretta e poi rimpastato ma questa volta aggiungendo i cubetti di Marco ahem. I cubetti di salame. Riposare per un’altra oretta (in teoria eh! perchè dandomi della scema l’ho infilato nel forno con la funzione “lievitazione” che dimentico sempre) e procedere alla realizzazione dei panini che andranno poi spennellati con il tuorlo e infilati nel forno a 200 gradi per almeno trenta  minuti ma dipende chiaramente dal forno.

E da Marco. Perchè lo si potrebbe pure risparmiare. Libera anche tu un salame! Libera anche tu un salame lasciandolo in un giardino pubblico. Lui volerà da solo verso l’Hotel Adriano. Perchè come sia andata la scommessa rimane un segreto lo so ma non si sa mai che si possa essere complici di un’inizio. Di una storia d’amore. Perchè non bisogna mai sottovalutare un maiale. Mai.

Vado a liberare un salame e un panino prima di cominciare seriamente a lavorare, ecco.

Gooseberry Pie – La Torta di Biancaneve

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“Some Day my prince will come……

Some day my prince will come. Some day we’ll meet again. And away to his castle we’ll go.  To be happy forever I know. Some day when spring is here. We’ll find our love a new. And the birds will sing. And wedding bells will ring. Some day when my dreams come true”

E’ la versione di Barbra Streisand  che mette quel pizzico di paranoia che ti fa ciondolare la testa con sguardo sognante  in un primo momento per poi scatenare incontenibile furia omicida in quel meraviglioso equilibrio che mi contraddistingue. Io Sto Con Brontolo ma mi sa che anche Biancaneve avesse una predilezione mal celata per l’affascinante nanetto; difatti la “Gooseberry Pie” era proprio dedicata a lui . Prima che succedesse la tragedia :  Queen: ” All a lonely pet? ” – Snowhite: “Why…Why..Yes I am but”-  Queen: “The little man are not here?” – Snowhite: “No they are not but…” – Queen: sniffing ” Baking pies?” – Snowhite: “Gooseberry Pie”

Ammetto, pur avendo paura di ferire per sempre le altre donzelle narcolettiche e scalze, che per la tipa pallida ho sempre provato quel cicinin in più d’aff_etto (quindi af_chilo, giusto?). Credo sia questa la genesi del mio amore spudorato verso codeste (!) creature diversamente alte. Ho le prove tra l’altro che più alti si è e più il sangue non confluisce al cervello correttamente. E lo dico io che sono abbastanza altina, sia chiaro. Ci sarebbe da perdersi in chiacchiere sugli innumerevoli ratti falliti del nano illuminato che bramo da anni (inciso: da diversi anni amici, parenti e conoscenti cercano di catturare un nano che si illumina ad intermittenza che viene esposto con maniacale precisione dal 25 Novembre al 7 Gennaio in una villetta sita proprio vicino casa mia. Ne ho ampiamente sproloquiato  sul mio blog personale per sei anni e qualcosina in più. Purtroppo avremo modo di approfondire anche qui *parte la musica del terrore. Una a caso), e sul fastidioso paragone con Amelie (che non ho visto per principio). Fatto sta che prendersene cura richiede dedizione e impegno.

Ad esempio quando indisciplinati non vogliono star fermi nel carrello ( reperto fotografico numero 1 )  , quando si ubriacano sul terrazzo durante l’aperitivo  (reperto fotografico numero 2)  , quando illegamente vengono introdotti nel nostro paesechimera in cerca di una nuova vita lontani dalle miniere e dal lavoro nero ( reperto fotografico numero 3 )  , quando incrementano le entrate con lavori precari tipo aiutare gentil donzelle a trovare parcheggio negli angusti sotterranei dei centri commerciali ( reperto fotografico numero 4 ) , quando assumono sembianze ciuuauauuesche per anziane fashion fallite fescionbloggeruannabi ( reperto fotografico numero 5)

E santo cielo ho tanti di quei reperti fotografici che è meglio fermarsi prima che venga portata in questura. E stavolta nessun presidentenanoimportantetusaichi potrebbe aiutarmi. Perchè mi chiamo Giulia e non Nany, dannazione?

Insomma ho fatto la Torta di Uvaspina, sì. La  prima volta che ho mangiato questo strambo frutto di bosco è stata a Torino lo scorso anno;  per noi siculi è un po’ come osservare un salmone saltellante durante il lungo percorso che lo porterà mare-spiaggia-fiume-mare-spiaggia-nonloso. Perchè non è certo un frutto molto usato qui alle faldedelkilimangiaroparaponziponzipo’ ( concedetemelo. è liberatorio scrivere paraponziponzipo’).  Mi è stata gentilmente offerta dall’Ingegner Suocero (anche se non dovesse sposarmi quel nanettonippotorinese senza ombra di dubbio rimane mio suocero, eccheccavolo)  che personalmente aveva provveduto alla raccolta nella sua fornitissima e splendida campagna che quest’anno ho avuto il piacere di poter visitare in uno di quei paesaggi che francamente ti mette ansia per quanto sia incommensurabilmente bello. Ho trovato l’uvaspina con poche difficoltà dal mio ortofrutticolo di fiducia e mentre blateravo sulle albicocche, i lychees che mi ricordano tutti i natali della mia vita e quando avrebbero aperto le frontiere per la frutta chenonèdistagioneelosochenonsifamalofaccio, ho spiegato quanto facile fosse la torta di uvaspina biancanevosa. E tra una chiacchiera e l’altra si sono fatte le undici. Per dire cosa? che mi dilungo troppo in chiacchiere come adesso. Non c’era bisogno di sproloquiare anche sulle ovvietà, certo.

 

 

 

 

Per la torta di Uvaspina di Biancaneve occorrono:

La Ricetta

800 grammi di Uvaspina (nel caso in cui non si trovasse andranno benissimo anche i Ribes. Ma non ditelo ai nani santo cielo! ) , 150 grammi di farina, 400 grammi di zucchero di canna, 125 grammi di burro e 2 fogli di pasta frolla del diametro di circa 30 cm. Adesso io faccio la fubbba con tre b ma non mi assumo alcun tipo di responsabilità (che bella cosa. Mi avvalgo della facoltà di non rispondere mi consiglia il mio Avvocatonanoso) perchè ho preferito realizzarne sette di minitortenanose per far sì che a tutti venisse equamente distribuita una parte. Che sono rissosi e violenti quando si tratta di ingurgitare calorie. Meglio evitare, quindi. A me ne sono venuti fuori 9 e se tanto mi da tanto un altro nano dal vago accento siculnippotorinese ne ha smangiucchiate due proprio stamattina.

Ripieno: Cuocere l’uvaspina (o i Ribes)  aggiungendo pochissima acqua fino a quando non si spappoleranno (termine tecnico). Occorreranno 20/25 minuti a fuoco medio. Versare lentamente la farina e girare continuamente. Aggiungere lo zucchero sempre mescolando senza fermarsi e far cuocere fin quando non si sia ottenuta una consistenza marmellatosa.

 

 

 

 

 

 

 

Per la pasta frolla


Pasta frolla
(ho usato quella di Montersino Ricetta base): 1/2 kg di farina 00, 300 grammi di burro, 200 grammi di zucchero a velo, 80 grammi di tuorli, 1 bacca di vaniglia bourbon, 2 grammi di sale, buccia di limone quanto basta. Su una spianatoia la farina a fontana mettendo al centro lo zucchero a velo e i tuorli. Il burro a pezzetti a temperatura ambiente, il sale e la buccia di limone grattugiata con la vaniglia. Lavorare fino a sabbiare il composto. Quando risulterà compatto formare un panetto e avvolgerlo in frigo lasciandolo riposare per almeno 30 minuti. L’intera operazione può essere eseguita anche con l’impastatrice (ahem. io ho fatto proprio così). Montersino ci consiglia poi che il burro può essere sostituito con l’olio di oliva o lo strutto e che lo zucchero potrebbe andar bene anche semolato o di canna. Usando sempre le stesse proporzioni e ricordandosi che impastare in grandi quantità è sempre meglio. L’avanzo potrà essere comodamente conservato nel freezer. Aumentando infine la dose dello zucchero la frolla risulterà più croccante mentre eccedendo con il burro risulterà friabile. San Montersino inoltre ci ricorda di ungere sempre la teglia di burro perchè la frolla a contatto con il grasso che conduce meglio il calore si cuocerà in maniera più uniforme.

Per la torta basterà stendere la pasta frolla e versare il ripieno (non troppo caldo) per poi tagliare a pezzetti il burro e distribuirlo in maniera abbastanza uniforme proprio sopra la nostra uvaspina marmellatosa. Coprire con un altro foglio di frolla. Trovare due uccellini che facciano la decorazione laterale proprio come ci consiglia Biancaneve e infornare a 200 per 45 minuti (nel caso delle monoporzioni ho usato gli stampi di alluminio classici tondetti)

 

 

Tadan colpo di scena inaspettato! Pur non essendo prevista nella versione classica più volte ho notato come i frutti di bosco si sposino bene con il cioccolato bianco. Per questo motivo prima di richiudere con il secondo velo di frolla ho messo per ogni minitortina un quadratino di cioccolato bianco.

In ultimo ma in ordine di importanza. Anzi. Tuttaltro davvero. Queste monoporzioni nanose sono state realizzate per omaggiare il mio  Nano Mondano. Incontrato sul social network Twitter, che francamente preferisco di gran lunga a facebook. Di incontri interessanti in rete, escludendo alcune sole imbarazzanti, se ne fanno molti più che  nel reale. E’ un dato oggettivo. Tra la vastità si trova il meglio;  me ne sono convinta (non che in una piccola bottega non si possa trovare un oggetto prezioso di inestimabile valore ma non parlo di vastità da centro commerciale, chiaramente). E questo è uno di quei fortuiti casi. Quando la profondità d’animo e la modestia  è tanta e devi necessariamente mascherarti da nano.

Perchè sei un gigante dentro. E i veri giganti sono proprio i nani.

E’ per te Marzia.

Spaghetti and meatballs

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The “Lady” and The Turin Tramp (ma Ivana c’entra qualcosa?)

“Non ci posso cre-de-reee!!!”  (cit.)

Lo so. State gridando proprio questo in qualunque luogo voi vi troviate. Lo farei anche io e sarei ancor più credibile con il mio infallibile (?cosa c’entra?) accento siculo. Gne gne gne gne (volevo ribadire la mia maturità, tutto qui e il mio 38.5 di temperatura Corporea EUUIUUAA!!* in onore dell’amore valefatinoso). Due post in un giorno sono troppi. E’ un po’ come affidare la prima serata della Domenica a Barbara D’Urso dopo essersela sorbita per la giornata intera tra un omicidio, uno sculettamento, una storia drammatica e cruenta e l’inquadratura del lato B delle ragazze nella casa del grande fratello. Sotto la doccia, sì. Vorrei soffermarmi su quella mia personalissima sofferenza interiore da quando al mondo esiste questo termine “lato B” ma non lo farò per non aggravare maggiormente la situazione odierna che ci vede vittime di ben due post.

La sezione Cibo  e Cinema mi prende così tanto che ormai il Nippotorinese farnetica davanti ad una semplice insalata di iceberg “E’ per caso l’insalata di Psycho? No no. E’ l’iceberg che mangiava Anita Ekberg dopo aver fatto il bagnoblablablabla”. Roba che non se ne verrà fuori facilmente. In realtà ho delle ricette arretrate. Per il bene dell’umanità potrei tenerle strette al mio harddisk e riguardarmele con calma nella solitudine dei giorni invernali che verranno. Bella la vita eh?  No. Sto qui a tediarvi. 

Mi pagano per questo (i miei nani da giardino) e adempio ai miei doveri diligentemente. Fremo alla voglia di tediare la nazione intera blaterando su biscotti cervosi natalizi, tacchini arrostiti di marzapane e scoiattoli scuoiati con il cioccolato fondente (sì. finirò come Bigazzi).

 

Come ho avuto opportunità di dire tantetantetantevoltechenonsenepuòpiù colleziono Horror e Cartoon. Con molta probabilità quindi nella sezione Cinema e Cibo si prediligeranno le visioni horror/noir/ocomelevogliamochiamare ma. E dico ma lampeggiante: l’animazione dove la mettiamo? Per questo in un momento di poca fantasia lo ammetto nasce Cibo e Cartoon. Così tanto per confondere il nemico (il nemico è Hello Kitty. ci siamo no?)

Odiavo gli Aristogatti da brava ailurofobica ma spetasciarsi lo spaghetto sugoso di salsa è un po’ il sogno di ogni bambina. Infranto quando subentra l’acidità e la rinuncia ai carboidrati perchè si ha una certa età. Insomma la mia attuale situazione per farla breve. Credo sia ridicolo scrivere la ricetta di questi semplicissimi spaghetti alla salsa con polpettine perchè non è mica un blog americano, cielo. Scrivere : quando l’acqua bolle inserire gli spaghetti ad un italiano è un po’ come dargli del cretino.  Mi limiterò quindi a mostrare fotograficamente soltanto la cena che il vagabondo nippotorinese ha trovato ad accoglierlo dopo una lunghissima e sfiancante giornata di lavoro ( per rendere tutto drammatico e pavoneggiarmi un po’. Era proprio questo l’intento ovviamente)

Che siccome qui si è anche romantiche assai (?) ovviamente è stato proibito l’uso delle forchette. Perchè è l’attendibilità che fa la differenza.

Chiamarli Gyoza è avventato, forse

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Piccola premessa: Non ho mai guardato le statistiche del blog. Perché i numeri mi annoiano da quando sono nata e perchè in sei anni ho sempre creduto non fossero queste le cose su cui perder tempo. Sono stata poi sempre una blogger (odio questa definizione ma occorre sintetizzare*risate registrate)  che ha scritto unpoquandoleandava e nonaggregandosianienteenessuno per non trasformare un passatempo in un business di link e marchette. Solo che quando in quel coso rettangoloso c’è un grattacielo altoaltoaltoaltoalto e un banner lampeggiante del Signor WordPress che ti scrive testuali parole “Ma quanta gente bizzarra  c’è in giro che ha il coraggio di leggerti? ” non puoi fare a meno di notarlo. Per dire che. Insomma grazie. Ammetto che se già c’era un po’ di timore nel pubblicare quello che sinceramente è stata una prova non provata e nulla di più, adesso c’è terrore. Di quello puro che ti fa fissare il vuoto mentre farfugliando e vaneggiando ti chiedi “cielo. ma mi hanno guardato tutte quelle persone davvero?”.  E collassi con lo stesso sguardo fisso che ha la mucca mentre guarda i treni passare. Fine della piccola premessa. Potevo solo dire grazie ma in realtà c’è tanta preoccupazione. Sento il peso della responsabilità dopo aver ricevuto i saluti delle adorabili mamme, mogli e bambini. Cielo! Tenete lontani gli innocenti da questo canale vi prego! 

Grazie davvero*asciugandosi il nasino sulla nuova magliettina

Scribacchiavo un po’ sul moleskine circa il progetto libroso, classificabile alla voce “priorità assoluta”, mentre mi documentavo sul Hanami in Giappone. Qualche volta lo tengo tra le mani, lo accarezzo un po’ e sorrido. Come una psicopatica, sì (in quale altro modo potrei del resto?!).  Svegliarsi alle cinque del mattino per riuscir a far tutto rende le giornate sfiancanti ma tanta è l’adrenalina e l’entusiasmo che le endorfine sembrano sguazzare manco fossero in una piscina olimpionica di cioccolato fondente  nell’ala sinistra della Fabbrica di Wonka. Si aggiunge poi la notizia che un mio disegno farà il giro della Sicilia e il mio più bel regalo di Natale/Compleanno/Pasqua/Esoloilcielosacosa l’ho già ricevuto da qui fino ai prossimi due decenni. La Mondadori poi stamattina mi informa che con i  punti accumulati avevo diritto ad un buono consistente e torno a casa felice a dir poco con “Le mie ricette da Italia, Marocco, Svezia, Spagna, Francia, Grecia” di Jamie Oliver e Sapori D’oriente della Giunti che non avevo mai visto ma che pare essere fiquo con la q, a dir poco. Non posso lamentarmi quindi per quei stramaledettisssimissimi gyoza. A questo volevo arrivare, sì.

Mi sono imbattuta in una ricetta non proprio tradizionale dei Gyoza. Rielaboro: ne possiedo una in realtà ma con materiale difficilmente reperibile. Ho deciso quindi di provare questa che come sottotitolo ha proprio: ricetta con ingredienti facili da reperire in Italia.

Non è facile reperire un altro critico gastronomico nel mio caso, invece. Proprio oggi chiacchierando con un’amica esprimevo proprio il reale disagio di avere accanto un uomo che non solo non si accontenta di gusti insulsi e comuni ma possiede la capacità di far riemergere non solo  un ricordo legato al gusto ma diversi. Con aneddoti, racconti e ragguagli circa “la patata è stata introdotta nel. il peperone in latino peperonus in realtà era. Nel milleseicentoblabla nei latifondiblabla i contadinitrullalà, facciamo un funguspletauruscarotosum della famiglia dei plettorinausususu”. BASTA! Che stress, sì.

Ognuno dei ricordi-conoscenze-aneddoti-esoloilcielosacosa mi appaiono come in un diagramma di flusso che ricollego poi con calma per rielaborare  sensazioni e considerazioni. Ok su non è vero. Che rielaboro in confusioni che mi vedono protagonista di imbarazzanti siparietti tipo” Il sushi è l’alimento più famoso nella Penisola Iberica e la paella si fa a Oslo”. Roba così.

 Il Tizio pelato elabora e trasforma destreggiandosi con una maestria che francamente lascia un po’ allibiti. Certamente il merito (?) è suo se in questi due anni sono passata da : insalata in busta già lavata a decorazioni con la pasta di zucchero ma è pur vero che denoto ancora poca furbizia perché c’è da dire che confrontarsi con uno dei suoi piatti preferiti tanto scaltro non è.

I Gyoza il nippotorinese li ha mangiati in tutte le salse e quando ha vissuto in Oriente. In Piemonte, a Canicattì bagni e credo pure in un paesino sperduto dell’Andalusia. Proposti in talmente tanti modi che la proporzione gyoza: nippotorinese = paste di mandorla: sicula sembrerebbe in questa notte buia e tempestosa calzare a pennello (sì mi sono fissata con la notte buia e tempestosa E’ indiscutibilmente un’ambientazione che mi si confà. E mi si confà volevo usarlo già da un po’). Il fatto che io sia sicula e che detesti le paste di mandorla e stia digitando in una mattinata di sole sono dettagli.

Ora per prima cosa c’è da dire che: è impossibile dare la forma dei Gyoza ai Gyoza la prima volta. Ho paura che in un secondo post scriverò lo stesso. In un terzo anche e forse anche in un quattrocentoventottesimo. Ho paura che quando aprirò un blog apposito che chiamerò laformaesattadeigyozanonesiste.com sarò già in una clinica psichiatrica. Perchè seriamente la domanda da porsi oggi è: perchè non esiste un manualetto sull’esatta elaborazione della forma esatta dei gyoza? Passo Passo con la manina e schemini disegnati?

Ma soprattutto se esistesse perchè non ne sono a conoscenza? E soprattutto (ma quante cose ci sono sopra questo tutto?)  su tuttotutto perchè non ritorno alle mie insalate in busta per il bene dell’umanità ? Queste e altre domande nell’interessantissimo inserto speciale di Dicembre con 1923192381023 uscite settimanali. Dicevo? ah sì.

Impavida però e senza vergogna sono qui a ticchettare ugualmente dei gyoza. Invece di buttar via le foto e vergognarmi in qualche angolino buio per la ridicola forma. Sono qui. E Sel mi odierà, inciso.

E’ stato uno di quei momenti che si ricorderanno per tutta la vita. Sì esattamente uno di quelli che poi racconti ai tuoi figli, i tuoi nipoti, i conoscenti e la signora al supermercato che ti spintona con il carrello(dopo averla chiusa nel portabagagli mentre ti dirigi verso la prima discarica per sbarazzarti del corpo). E’ stato indimenticabile perché dopo il primo boccone ho chiesto con uno sguardo a dir poco dolcissimo” ti piacciono i Gyoza?”

“Ti prego. Non chiamarli Gyoza. Potrebbero essere dei ravioli cinesi fatti al massimo da un thailandese”

“E perchè thailandese? sono bravi a fare i gyoza?”

“No. I thailandesi non ne capiscono nulla di cibo cinese”

Così. Tanto per gradire.  Che ci faccio a fare qui io quindi ? Il Titolo della ricetta per dovere di cronaca è quindi per esteso: I Gyoza che volevano essere i Gyoza giapponesi ma che in realtà potrebbero essere dei ravioli cinesi fatti da un thailandese che non ne capisce nulla di cucina cinese.

Nel caso in cui preparaste questa meravigliosa e riuscitissima ricetta e doveste in qualche modo scriverlo su un menù basterà abbreviare in Igcveiggmcirpedrcfdutcnncndcc (le iniziali di I Gyoza che volevano essere i Gyoza giapponesi ma che in realtà potrebbero essere dei ravioli cinesi fatti da un thailandese che non ne capisce nulla di cucina cinese. E ho pure controllato se le lettere fossero giuste. Roba che non ci si crede)

Ricetta tratta dal Libro (saggiamente bruciato sul terrazzo) di Kyoko Asada (che spero non me ne vorrà se le faccio un presente: prrrrrrrrrrrrrrr) “Il giappone in cucina” Ricette facile di realizzare in Italia edito da Hoepli.

Alla voce difficoltà scrive  “un po’ difficile” (altro presente: prrrrrrrrrrrrrr)

La Ricetta

Ingredienti: 500 grammi di farina manitoba, 200 grammi di maiale macinato, 1 verza piccola o cavolo cinese (ahhh. e se dipendesse da questo?), 2 cucchiai di erba cipollina o porro, 2 cucchiaini di zenzero, 2 cucchiai di sakè, 1 cucchiaio di olio di sesamo per il ripieno e 3 cucchiai di olio di sesamo per cuocere.

Ingredienti per la pasta sfoglia in casa: 200 grammi di farina manitoba, 100 grammi di acqua, mezzo bicchiere di fecola di patate (forse io avevo un mezzo bicchiere diverso. Dare la grammatura no? altro presente: prrrrrrrrrrrrrrrrrrr)

Preparazione della pasta: Mischiare l’acqua con la farina poco alla volta. Mescolare con cura e bene. Lavorare il composto sino a che diventi una palla e il composto piuttosto omogeneo. La pasta ( ci avverte) viene leggermente più dura dei ravioli italiani (nutro fortissimi dubbi che Kyoko ne sappia di ravioli italiani ma voglio darle fiducia).  Riposare per un’ora coprendo con la pellicola trasparente (non in frigo eh)

Preparazione della farcia raviolosa: tritare molto finemente il cavolo , lavarlo e salarlo un po’ lasciandolo riposare qualche minuto così. Bello lavato e salato in accappatoio ( se non avete un accappatoio per il vostro cavolo o verza la ricetta ne risentirà. Inutile dire che sì. Io lo possiedo ma non sono riuscita a trovarlo). Aggiungere la carne, la soia, il sakè, lo zenzero, sale, olio di sesamo e erba cipollina e mescolare bene bene bene (ora dice pure che si può anche cuocere prima tutto questo ambaradan. E io ho preferito fare così). Dopo aver proceduto alla realizzazione di dischetti con la pasta che ha riposato un’oretta (e se fosse stata lei a rubare l’accappatoio alla verza?) dal diametro di circa 10 cm (SOTTILISSIMI*grida la nostra Kyoko)

Bella la vita Kyoko. E com’è la realizzazione dei Gyoza? Ci spiega soltanto che le dita devono essere inumidite nell’olio e ci consiglia di guardare la foto per i dettagli. Vi giuro che in questa fantomatica foto c’è solo un raviolo già arrotolato (argggghhh).

Scaldare la padella su un fuoco alto finchè non prenda a fuoco la casa e solo dopo gettate della benzina. No. Scusate. Dicevo. Mettere l’olio di sesamo e poi subito i ravioli. Aggiungere immediatamente dopo una tazza di acqua freddissima e lasciare cuocere a fuoco alto con un coperchio chiuso bene. Quando l’acqua scomparirà i ravioli saranno pronti. Servire intingendo ogni raviolo nella salsa di soia e aceto ben mescolati. Una porzione media di quelli piccoli equivale a quindici ravioli circa. C’è l’alternativa anche di cuocerli a vapore eh. Perché Kyoko non si è risparmiata. Ed io ho fatto anche quello. E devo ammettere che sia nell’uno che nell’altro modo ho ottenuto grandissimi risultati.

Sì. Risultati disastrosi.

Ma non finisce qui con Gyoza. E’ guerra aperta*accarezzando con cupidigia la ricetta della sua adorata Sel

Colgo l’occasione inoltre per unirmi ai festeggiamenti del Sacro Giorno della Liberazione della mia Bibi prima di correre a festeggiare la mia mammina.

Potevo farle una torta di gyoza ! *va via farfugliando

Cherry Pie and damn fine cup of coffee (2010)

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Sì avevo detto che nel Week end non avrei scritto per fare riposare un po’ i neuroni altrui ma essendomi svegliata alle cinque e avendo a disposizione una mattina per me tra libri e disegni, eccomi qui a ticchettare.

“Spaghetto m’hai provocato e mo’ me te magno!”. C’è tutta l’italianità in quel gesto quotidiano e semplice di Sordi intento ad ingurgitare con voracità lo spaghetto. C’è la gelatina che Mickey Rourke spetascia sulle labbra della Basinger davanti al frigo nella scena cult che ogni casalinga sogna di fare. Con Rourke, mica con il marito(regia è possibile farla con Jack Nicholson? no. credo che quelle pernacchie significhino no). C’è quello spaghetto in cui piovono polpettine che viene servito a Lilli e il Vagabondo. Ogni volta che vedo una botte non posso far a meno di pensare che vorrei apparecchiarla con una tovaglia scozzese, metterci su un fiaschetto di vino e succhiare uno spaghetto per baciare un vagabondo. Disney riesce a farmi desiderare  una polpetta, dell’alcool e lo scozzese che detesto in egual modo tanto da non riuscire a fare una classifica tra i tre. Ci sono pasticcini e un’imbarazzante varietà di dolcetti sul tavolo del Cappellaio Matto che ricorda un po’ il vomito pasticcioso in Marie Antoniette. Come ci sono le diverse varietà di sugo e ragù nei film americani che ricordano l’Italia. Come non citare il Padrino ma anche quell’impagabile pellicola satirica che è Mafia!. Ci sono anche Ragù speciali a casa dei Roses con tocchetti di cane investito dalla macchina nel vialetto d’entrata. E la ratatouille del topetto che manovrava tutto da sotto il capello da chef?

 

Escargot che volano dalle forchette di un’indimenticabile Roberts. La stessa che si paragonerà ad una crepe suzette piuttosto che ad una creme brulè davanti a Cameron Diaz che sosteneva di potercisi trasformare“ma una creme brulè sarà sempre una creme brulè. Non potrà mai essere una crepe suzette” . Sempre della Roberts (fermatemi) la misteriosa ricetta della Mystic Pizza ! Ci sono tavole imbandite con tre amiche che diventeranno poi le Streghe di Eastwich. Quelle due indimenticabili scene  stomachevoli   dove la Pfeiffer rimette ciliegie Nicholson viene colpito durante la scelta del gelato tra piume e vento. Ci sonoi pomodori verdi fritti alla fermata del treno con storie drammatiche e amicizie importanti. C’è Bagdad Cafè che rimane un ricordo di una videocassetta. I pasticci di carne umana sapientemente preparati daMiss Lovett. L’entrata della città incantata dove il cibo si riversa in ogni sua forma e colore. La zuppa di porri colorata dallo spago di Bridget Jones e quelle padelle enormi di fagioli nei Western.  I due innamorati in The Mood for love che scendono le scale per andare a comprare cibo da asporto in quella cornice indimenticabile. Il bento di Sushi che prepara il padre in Samaria (fermatemi vi prego)

Sino ad arrivare al sanguinolento uovo all’occhio di bue nella sigla iniziale di Dexter che riassume superbamente, i cestini colmi di pasticcini di Bree Van De Kamp e  i tacos in Ugly Betty . Più ticchetto e più me ne vengono in mente.  La zuppa della Nonna della Famiglia Addams? Gli onigiri di Coccinella? I Ramen di Lamù e i bento per il suo Tesoruccio?  (da oggi cucino solo questo. ho deciso). Non che stia facendo la scoperta del millennio per carità. Pour parler in primis e poi non che ce ne fosse bisogno ma per ribadire questo legame indissolubile che il cibo ha anche con il cinema. Pochi giorni fa con la voglia irrefrenabile di preparare la Cherry Pie dell’Agente Cooper mi sono imbattuta in un contest dell’anno scorso catturata proprio dalla partecipazione della mia preziosa amica Lisa. Mi sono resa conto sin da subito quanti siano gli appassionati di questo genere e la varietà delle ricette (sono una tipa scaltra*risate registrate)

Non credevo certamente di compiere un’impresa originale nella realizzazione della Cherry Pie in memoria di Twin Peaks ma sono rimasta confesso piacevolmente colpita da questa esagerata moltitudine. Mi aggiungo quindi in punta di piedi apportando nel mio piccolo anche queste “ricette dedicate” con il tag “Cibo e Cinema” per materializzare un po’ quella che senza dubbio è diventata una passione intensa. Grazie al nippotorinese, sembra quasi superfluo dirlo. Il cinema.

Accanita sostenitrice da sempre di Lynch e Burton ho potuto però apprezzare, grazie a lui,  maggiormente sia i due miei idoli in assoluto che  quell’inesplorato mondo che è il cinema orientale (e anche lì sul cibo ce ne sarebbero di cose da dire). Era una delle peggiori punizioni che mi si potessero infliggere nei primi anni: guardare un film orientale in lingua originale sottotitolata con lui. Ricordo anche di aver litigato per la prima volta in vita mia durante una visione al cinema perchè cielo “Il gusto dell’Anguria” era francamente inguardabile. Con il tempo e un’illuminazione neuronale improvvisa ho capito che quella pazienza viene poi talmente ripagata che non ci si può non colpire con oggetti contundenti in ricordo di quella stoltezza.

 Comincio questa sezione “Cibo e Cinema” con la ricetta di un serial. Per far capire sin da subito quanto io sia coerente. Son cose belle queste. Chiamare Serial Twin Peaks è talmente riduttivo tanto quanto dare del serial killer a Dexter anche se oggettivamente lo è. La signora con il ceppo, il nano, Bob, Lawrence  Jacoby, James Hurley, Donna Hayward, Ronette Pulaski, Benjamin Horne, Leland, Norma e . E non c’è neanche bisogno di cercare i nomi su Google perchè indiscutibilmente è la visione che sino ad ora mi ha colpito di più. Come se fossi stata lì. A seguire le indagini. Tentando di dare un volto all’assassino di quella che sembrava essere la fatina bionda dagli occhi azzurri che portava il cibo ai malati e preparava limonate da vendere a bordo strada per ricavarne spiccioli per il sostentamento dei cani abbandonati. Roba che Barbara D’Urso potrebbe farci quattro domeniche al mese 20 ore filate di diretta nazionale e 14 ore ininterrotte di collegamenti e video con musiche deprimenti. Accusando una persona a caso e chiamandola “Orco”. Con l’intuito dimostrato ultimamente avrebbe accusato il Ceppo della Signora con il ceppo.

Ero l’unica ad avere il diario di Laura Palmer in classe perchè mamma non si è mai fatta tutti questi problemi di censura;  non cadendo in quel bigottismo “mia figlia non guarda twin peaks perchè è troppo piccola” tipico di altre madri (che poi come da copione avevano figlie che fumavano, leggevano il diario di Laura Palmer e guardavano le puntate registrate a casa mia. Ed emulavano Colpo Grosso in classe “assaggia e poi mi dici. ti din. evviva la fortuna e lallalala”). Ho avuto e ho l’immensa fortuna di avere come genitori due colossi di coerenza che non mi hanno mai imposto nulla. Al massimo se ne è discusso prendendo in considerazione le varie ipotesi avendo tutti e tre lo stesso diritto di replica. Dove nessuno è padrone dell’altro. Quindi sì guardavo Colpo Grosso con nonna (e non sto scherzando) e non ho neanche tentato di dire a mamma che quelle sigarette in borsa erano di mia cugina-della mia vicina di banco o che un extraterrestre fosse entrato lì per nascondermele gelose del nostro rapporto madrefiglia per farci litigare blablablabla. Ma dicevo. Ah sì.

Il genio di Lynch e l’ineguagliabile parto di quei personaggi così stupefacentemente visionari: la signora con il ceppo, il gigante, Nadine e la sua benda. Quella Diane che ho cercato di immaginarmi. Se fosse bionda. Se fosse mora. Se fosse il suo primo vero amore. Se fosse il suo nano da giardino. Il suo cane. La vicina di casa.

Alla quale confida quanto buona fosse la Cherry Pie servita con una dannata tazza di buon caffè. Starei ore a sproloquiare qui su tutta questa pappardella ticchettante irrefrenabile ma. Credo proprio che oggi a pranzo preparerò al mio Vagabondo degli spaghetti con le polpette, quindi smetto (alleluja!) . Devo solo trovare un’orrenda ma indimenticabile tovaglia da tavolo scozzese come quella.

 

E si comincia con questo omaggio a Dale Cooper (ovviamente ne ero innamorata. Mai quanto Jack Nicholson e Frank Further, chiaro ma. Discretamente innamorata è sufficiente). La ricetta l’ho trovata su questo sito e l’ho mischiata ad un’altra di cui francamente non ricordo il link e non riesco a recuperare ed infine sì. Ho messo anche del mio. Cosa a dir poco preoccupante. Il risultato però è più che soddisfacente  e nonostante l’abbia sfornata stamattina è già quasi a metà.

Chiaramente io non c’entro nulla*disse fischiettando

Non che il fatto ne attesti la bontà ma basandoci sulla pignoleria del nippotorinese, del mio nano da giardino e di due passanti capitati “per caso” qui alla quale è stata offerta. Beh. Perlomeno commestibile, mettiamola così. Non dovrebbe in teoria procurarci allucinazioni del tipo: stanotte Bob sotto il letto. Ma seriamente voi guardate qualche volta sotto?

 Ingredienti: 550 Grammi di ciliegia fresca o amarene denocciolate (io ho usato le ciliegie della fabbri sotto spirito che ho lavato 9319238138 volte), 200 grammi di marmellata di ciliegia (io ho usato hero diet alla ciliegia senza zucchero 71 kcal per 100 grammi. Primo perchè è buona. Secondo perchè se avessi usato quella zuccherata che ne so della Santa Rosa 250 kcal per 100 grammi di cui il 90% del contenuto  è puro zucchero ci sarebbe preso un colpo iperglicemico), 30 grammi di tapioca (o amido), 1 pizzico di sale, 1 cucchiaio di succo di limone, 150 grammi di zucchero, 1 cucchiaio di vaniglia, 30 grammi di burro a tocchetti, pochissima essenza di mandorla. Infine 1 uovo e dello zucchero semolato per spennellare e ricoprire prima di infornare.

Ingredienti per la pasta brisè ( l’ho fatta con il bimby ed è stato talmente facile che ho pianto per la commozione); 500 grammi di farina OO, 200 grammi di burro morbido a pezzetti, 1 pizzico di sale, 140 grammi di acqua freddissima. Tutto dentro venti secondi velocità 4 e la tiri fuori direttamente avvolta dalla pellicola (e me ne è rimasta un bel po’ uffa)

Preriscaldare il forno a 205 gradi. Se siete fortunati, scaltri e soprattutto avete acquistato le amarene denocciolate versatele in una ciotola ed è fatta (le ciliegie in questo periodo, nonostante il mio ortofrutta di fiducia abbia le arance ad agosto e le fragole a capodanno, sono una chimera. Potevo aspettare un po’ a farla. Ma sarebbe stato logico ed io alla logica rinuncio per politica). Nel mio caso ho diligentemente denocciolato una ad una la caterva di amarene inveendo contro il nippotorinese che saggiamente le aveva prescelte tra gli scaffali. Unire la marmellata di ciliegia, l’amido che andrà a sostituire la tapioca perchè siamo seri si potrebbe anche non avere della tapioca in casa, lo zucchero, il succo di limone, la vaniglia e l’essenza di mandorla. Girare con cura il tutto finchè non diventi un composto piuttosto omogeneo. Stendere nel frattempo la brisè su di una teglia tonda e versare il composto di amarene precedentemente mischiato agli altri ingredienti. Ricoprire il tutto con i 30 grammi di burro tagliato a tocchetti cospargendo equamente le diverse zone della superficie. Ricoprire con l’altro foglio di brisè per intero premurandosi di chiudere lateralmente. Fare un’incisione ad ics sulla superficie della nostra torta e dopo aver sbattuto un uovo ricoprirne la superficie che andrà poi spolverizzata con un po’ di zucchero semolato.

In forno a 205 per 15 minuti e dopo a 180 per 30/40 minuti. L’aspetto è talmente simile che quando hanno suonato alla porta. Ho proprio sentito ” Sono Il nano di Twin Peaks”.

Fortuna che era solo Bob*AIUTO.

Rame di Napoli per il mio Papà

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Le Rame di Napoli sono un dolce tipico catanese che si prepara soltanto in occasione del giorno dei Defunti.

Si tratta di un biscotto ovoidale al cacao morbidissimo dal cuore davvero tenero. Speziato con cannella e chiodi di garofano con un retrogusto d’arancia. In realtà non è un biscotto ma quasi una fetta di torta monoporzione che generalmente conquista sin dal primo assaggio. Ricorda vagamente la Sacher per capirsi. Le Rame di Napoli industriali che spesso spopolano ai centro commerciali rovinano la fama di questo non-biscotto che al contrario potrebbe avere tutte le potenzialità per essere annoverato senza alcun dubbio alla voce: dolcetto delizioso a dir poco. Con il the, a fine pasto, in borsetta e inzuppato nel tomato, ecco. E un po’ innervosisce come cosa. Immagino spesso la cassata pavoneggiarsi in abiti fashion e succinti nella vetrina di una pasticceria mentre in un angolo desolato la povera rama subisce la spietata concorrenza, con il suo abbigliamento casual e casalingo. Non in questo periodo, certo. Una piccola rivalsa sì ma questa discriminazione mi infastidisce e parecchio* ticchettò ingurgitanto due gocce di calmanti.

 

Diverse sono le ipotesi sull’origine del nome. Una delle più accreditate sembra essere riconducibile al regno delle due Sicilie e un omaggio a Napoli. Sono molto legata alle rame di napoli; in primis perchè mio padre le adora letteralmente e ogni anno ne fa una scorpacciata tale che ogni volta asserisce con convinzione “mai più! non ne mangerò mai più!”; per poi ritrovarsi ogni anno a mangiarne l’esatto quantitativo dell’anno precedente più un centinaio. Non avevo mai provato timorosa di profanare una delle ricette più famose qui nella mia città. Non credo ci sia un catanese che in vita sua non abbia mai  provato una rama di napoli. Al contrario ne esiste una che non ha provato la cassata siciliana : ” IOooooo” , gridò orgogliosa. Faccio parte del comitato anti cassata. Tana per Giulia.

Al contrario delle mie disastrose aspettative è filato tutto liscio a dir poco. L’impasto oltre a sprigionare sin da subito quello splendido odore speziato al retrogusto di arancia è facilissimo da lavorare. Non occorre una frusta ma un semplice cucchiaio di legno e non so perchè a me piace usare solo il cucchiaio di legno. Giravo l’impasto e sbigottita continuavo a ripetermi “non è possibile. è proprio l’odore della rama di napoli”, come un’invasata. Quando poi nel forno ho infilato lo stuzzicadenti per controllare la cottura pensando che non tutto potesse andare davvero tanto bene ho scoperto con raccapriccio che no. Era morbidissimo e soffice da far paura. Credo di aver quasi pianto per la commozione a quel punto continuando a farneticare farfugliando frasi tipo ” non è possibile è proprio l’odore e la consistenza della rama di napoli”.

La Ricetta

Gli ingredienti per le Rame di Napoli sono: 500 gr di farina 00, 100 gr di margarina, 3 cucchiai di lievito,180 grammi di zucchero, 400 gr di latte, 120 gr di cacao in polvere amaro, buccia di arancia grattugiata (ma proprio tanta eh), Chiodi di garofano tritati (una manciata), cannella in polvere (a piacere. Io ne ho messa un quintale), 2 cucchiai colmi di  di miele, 2 cucchiai di marmellata d’arancia amara (a scelta)
Per la glassa: 60 gr di margarina, 300 gr di cioccolato super fondente, Pistacchi sgusciati tritati

Dopo aver setacciato la farina, lo zucchero, il lievito e il cacao, aggiungere la margarina leggermente ammorbidita e girare. Pian piano versare il latte facendo amalgamare il tutto. Buccia d’arancia e aromi alla fine. Ottenuto un impasto  liquidosomolliccio ma dalla consistenza abbastanza compatta (sono chiarissima eh!?) versare sulla carta da forno due cucchiaiate di impasto cercando nel possibile di dare una forma vagamente ovoidale. La rama di napoli si allargherà parecchio in cottura quindi è bene mantenere una certa distanza di sicurezza. A 150 gradi per 15 minuti ma dipende sempre dal forno e gnam. E’ pronta e sofficissima. Ah già la glassa, santa pazienza.

E all’amore mio paposo sono piaciute e tanto. Ed io vivo per il mio papà. E da oggi vivo anche  per preparargli tutte le Rame di Napoli che vuole ( e mi sa che ne vuole tante. Yeah! ) 

I Biscotti Domino

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Non mi stancherò mai di convincermene: nelle mie vite precedenti sarò stata un’efferata serial killer per meritarmi in questa l’odioso intellettuale nippotorinese. E’ pur vero però che nell’altra con molte probabilità sia  stata un boy scout. E non un semplice lupetto eh. Un dolcissimo capo lupetto (ok non conosco la gerarchia, lo ammetto) che elargiva biscottini al cioccolato agli anziani;  Talmente affabile e professionale che nel caso in cui i biscotti fossero tanto duri da mettere a rischio la dentiera non si perdeva certamente d’animo: li masticava riducendoli in poltiglia lui stesso per poi offrirli con la giusta consistenza. E’ ovvio poi che dopo un’esistenza da boy scout intrisa di buone azioni  si diventi psicolabili e quindi il karma ti dia diritto ad una vita da serial killer. Una sorta di jolly.

Insomma cosa c’entrano i boy scout e i serial killers? Ah sì. Usufruendo del Jolly/Karma ho ricevuto la fortuna nella disgrazia:  la sorella dell’odioso nippotorinese. La Socia, fonte di ispirazione e venerazione, mi ha segnalato il libro “Faccia di Crema. Ricette divertenti per i bambini” di “La Cucina Italiana” con i consigli di Geronimo Stilton, che sarà pure un topo ma francamente qui lo si trova più carismatico di Mattiadettofatto. A me dispiace anche un po’ per Mattia lo confesso. Lo ricordo con estrema simpatia quando insieme ad un ragazzo romano (mi ha colpito così tanto che non saprei dire se fosse biondo o rosso. Ricordo l’accento e basta. E un ridicolo paio di pantaloni color senape ma devo smetterla di dilungarmi) conduceva un programma su sky. Prima di essere conteso dalla Lopez e Madonna, con una foltissima chioma bionda ricciolosa che agitava in mezzo ai  fornelli tra una tagliatella e uno gnocco. Due giovani single in un loft che distribuivano consigli culinari per far capitolare  ignare fanciulle golose (grandissimo successo ! tre puntate). Tagliati i capelli, variazioni di camera da mal di testa e viaggi in barca con Maddalena Corvaglia, hanno fatto sì che io mi trovassi stamattina qui a dar del carismatico a Geronimo Stilton e non a lui. Non facendo per nulla dell’ironia tra l’altro. Mi piace Mattia e molto ma le variazioni di camera mi turbano, è un dato di fatto.

In questo piccolo libro che sogno di poter sfogliare un giorno con un nippotorinese in miniatura, si rimane un po’ inebetiti guardando il Clown di Pizza come anche il coniglio e il gufo. Anche la faccia di crema, il laghetto di carote e il baule del tesoro non passano mica inosservati. Ammetto che “un fiore da mangiare” rimane in assoluto il mio preferito e diverse volte l’ho servito prendendomi meriti  ovviamente non  miei. Fortuna vuole che mi piaccia sempre ribadire quando o no c’è del mio. Posterò al più presto “un fiore da mangiare” così che anche voi possiate cimentarvi in questa chicca facendovi adorare da tutti i bambini del palazzo; gli stessi che vorreste abbracciare fortissimo perchè allegramente vi han sfondato la fiancata della macchina con il pallone. Bene, potete offrir loro del cibo in segno di ringraziamento. Nessuno ha sottinteso con qualche goccia di guttalax ! Sono illazioni vostro onore!

“Cosa c’entrano i domino biscotti maledetta chiacchierona!?!?!”. Vi sento, sappiatelo. Cattivi. C’entrano o perlomeno credo perchè nell’inserto di Ottobre di Cucina Italiana regalano un manualetto picciuino picciuò dal titolo i “Bambini a tavola” dove vengono riprese alcune ricette di Faccia di Crema con l’aggiunta di nuove e succulentissime novità. Una di queste sono proprio i Domino Biscotti.

Essendo finito il cacao non ho potuto preparare la frolla che lo prevedeva. Certo avrei potuto farli dopo l’acquisto del suddetto ma seriamente: una bambina può aspettare o deve farlo SUBITO? E’ sempre la seconda. Con la frolla al cacao la ricetta originale prevedeva infine la glassatura delle palline con tantissimi colori diversi;  che brillavano e risaltavano sul nero. Una figata mica da ridere mi verrebbe da dire in maniera ovviamente professionale. La versione in black quindi la rimando a data da destinarsi e nel frattempo ci becchiamo questa:

 

La Ricetta

Ingredienti :250 grammi di Farina, 200 grammi di zucchero a velo, 150 grammi di burro, 100 grammi di zucchero semolato, 2 tuorli, vaniglia in polvere o cannella.

Preparare la pasta amalgamando in una ciotola la farina, i tuorli, lo zucchero semolato, il burro morbido, la vaniglia in polvere secondo i gusti e un pizzico di sale. Lavorare l’impasto e stenderlo per poi ricavarne tanti rettangolini. Come si evince dalle foto io non ho fatto rettangoli regolari. Potrei dire che si sono poi tragicamente trasformati dopo la cottura ma la dura realtà è che avevo chiesto al mio nano da giardino di aiutarmi con la livella ma essendo impegnato nelle pulizie domestiche questo negato supporto ha fatto sì che io non potessi.  Sono una pasticciona e basta.

A 170 gradi per 15 minuti prevede l’originale ma francamente già a 10 di minuti i miei rettangolini imploravano pietà. Con il cioccolato fondente rigorosamente sciolto nel microonde ( non è vero ma da quando non metto più su il pentolino mi sento irresistibilmente tecnologica) e lo stuzzicadenti si procederà poi alla decorazione.

Infilati in un sacchetto il giorno dopo risultano essere davvero un regalino dolcissimo da fare a chi in ufficio tra una partita di domino, una chiamata e il capo inferocito voglia sgranocchiare qualcosa. Ammetto di averli confezionati con un nastrino e dati in pasto al nippotorinese. Istruzioni comprese per mentire a me stessa facendomi credere che potessi io per una volta insegnar lui qualcosa.

Questo mi fa pensare che in un’altra vita sarò stata  pure un boy scout (ma si dice girl scout, vero? o devo innervosirmi in questa mattinata che mi vede indossare improvvisamente delle vesti femministe? ) e poi un serial killer ma in questa sono senza pochi margini d’errore: un’irriducibile cretina.

Fast Cupcakes. I cupcakes che più veloci non si può

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(dalla foto si evince immediatamente che sono stati fatti di fretta. Così tanto per ribadire quello che lapalissiano è. Fa caldo e si vaneggia ancor di più, sì)

Questa ricetta è della pasticciera Valentina Gigli che imperversa su Alice. E questo psuedopostricettoso trascritto a febbraio e ritrovato nei meandri dell’archivio insieme ad altri, giusto adesso. Sì. Credo di aver davvero trascurato questo luogo per troppo tempo. Ogni volta che sono spaparanzata sul letto e lei comincia ad agitare il suo leccapentole sto lì ferma con lo sguardo furbo e attento da cernia lessa e non mi muovo salvo quando dice “Ingredienti”. Afferro il primo foglio o telefono o pc o mano e scrivo a caso. Quindi le proporzioni potrebbero pure non essere esatte. Mi sento in dovere quindi di dirvi che non sono malaccio questi cupcakes ma che se lo fossero non è colpa della Gigli ma del mio neurone poco scaltro nel non essersi organizzato per tempo con taccuino e penna. I mezzi di fortuna di quella sera hanno registrato i seguenti ingredienti.

La Ricetta

Ingredienti per 12 cupcakes circa:

  • 180 grammi di burro a temperatura ambiente
  • 180 grammi di zucchero semolato
  • 180 grammi di farina 00
  • 1 cucchiaino di lievito per dolci
  • 80 grammi di latte intero
  • 3 uova
  • estratto di vaniglia

Sbattere zucchero e burro insieme fino ad ottenere un composto che più cremoso non si può. Ottenuto questo le uova andranno versate ad una ad una ( AD UNA AD UNA*tono minaccioso) . Dopo aver setacciato farina e lievito verranno ambedue aggiunti al composto burrouovoso con i famigerati movimenti dal basso verso l’alto. Aggiungere latte e vaniglia (chi usa vanillina verrà colpito immediatamente con un  mattarello in testa ma anche  a caso su un arto superiore o inferiore a scelta). E girare girare dolcemente dolcemente.

Diviso l’impasto in circa 12 formine ( che Valentì mica abbiamo tutti i tuoi stampini uffa. In quelli classici di alluminio tondi vengono qualcosina in meno. Così senza un perchè. Lamentarsi è un hobby qui in casa. Soprattutto per le inezie) e in forno a 180 per venti  minuti.

Ora i cupcakes si possono decorare con la glassa, la pasta di zucchero, la pasta di marshmallows e solo il cielo sa cosa ma il cioccolato fondente pare essere la scelta giusta quando si ha fretta. E stracaldo, maledizione.

Non che interessi ma io faccio sciogliere nel micro per due minutini tavolette di cioccolato fondente lindt e amen (ho scoperto da poco che la gente si perplime non poco davanti  alla fonduta nel micro. La leggenda metropolitana del solobagnomaria imperversa più delle gladiators questa estate a quanto pare) .

Fiorellini di zucchero e palline argentate buttate a caso e via.

Via a lamentarsi che fa davvero troppo troppo troppo caldo.