Ricette Vegetariane e Vegane
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Cioccolato e Ravanello. Così disse Vissani

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You are All I Have degli Snow Patrol, che dopo Chasing Cars fa pogare un po’ questi miei neuroni cappellinodibabbonatale-muniti.

Mamma con quella maturità che geneticamente ci contraddistingue ieri mi ha spiegato con calma mal celata che se io avevo già l’albero in casa fosse implicito che anche lei lo avrebbe dovuto avere (sembra confuso ma in realtà lo è ancor di più). IMMEDIATAMENTE.  Pena: botte Iaia. Una motivazione adulta, direi.  Ho trascorso così un pomeriggio nel delirio addobbando due alberi ed uno di questi era poco più alto di tre metri. Quando nonna ha telefonato e ingenuamente l’ha buttata lì ” Allora domani venite a farlo da me? “ mi è venuta voglia di rivedere Silent Night, Deadly Night e sterminare le renne e i folletti. L’antidoto è stato appendere le palline con il polistirolo e cera fatte anni fa, la pallina di legno che ho appeso quando ero alta sessanta centimetri, un metro, un metro e mezzo e quei venti e passa centimetri in più attuali. Nonna si è convinta che è meglio farlo come da tradizione l’otto dicembre e che qui si trattava di questioni logistiche. Logistiche l’ha confusa e noi siamo riuscite nell’ intento. Infatti non andremo domani ma dopodomani. Io e Mamma siamo due geni del male.

Ieri per il dopo pranzo ho servito alla povera vittima/assaggiatore, così verrà ricordato, una di quelle ricette che strappiamo dal Venerdì di Repubblica.

Perché non è Venerdì se non c’è il Follow Friday su Twitter e se non si sfoglia l’allegato. A me piacciono le classifiche degli oggetti in voga che puntualmente inserisco nelle mie fantomatiche wishlist mentre lui attento sfoglia la politica internazionale. Lo leggiamo insieme, rubandocelo vicendevolmente, solo a metà quando c’è Kumalè con le sue ricette etniche e Vissani. Perchè sarà pure antipatico ma non credo si verificherà mai la remota possibilità che io con Gianfranchino nostro debba confrontarmi davanti una tazza di the. Grazie al cielo, aggiungerei. A me piace immaginarlo sorridente e con quell’aria amichevole che ha sull’avatar di A Tavola ad inizio rubrica. Del resto poi le congetture con il tempo ho capito siano il male dell’umanità (riflessioni di un certo livello eh? sì- c’è del sarcasmo) . Csaba potrebbe essere la persona più umile della terra nonostante senta la necessità di dirti che cucina con la camicia Burberry e che si rilassa solo al Just Cavalli e Valentina Gigli una timidissima introversa non per niente saccente che a casa diverte amici e parenti con le sue battute pur non riuscendoci davanti ad una telecamera. Come Luce Caponegro, conosciuta ai più come Selen, una conduttrice a modo che in quel “Non avevo mai maneggiato un pesce in questo modo” non ha messo assolutamente malizia ieri sera durante il neonato programma su Alice  Romagna Mia. Come non l’ha messa quando a fine programma nell’angolo della posta ha risposto alla domanda ” Cara Luce sono indecisa su che tipo di mutanda e colore indossare per un’occasione speciale: rosso peperoncino, bianco panna o nero caviale? “ perchè chiaramente il connubio mutanda-cucina è uno dei pilastri portanti di questa arte.

Insomma mi sto dilungando per dire che sì. Il cuoco che per il Gambero Rosso risulta essere in assoluto il detentore del podio Italiano elargisce consigli su come rischiare. Abbinando senza paura. E se io ho già in programma il suo Branzino con gelato di malaga (che mica lo devo mangiare io. Risata malvagia a seguire) questa è la volta del Cioccolato con il Ravanello. Non dando titoli particolarmente altisonanti mi permetto di battezzarlo con : Tre Cioccolati, Una Ganache e una Quenelle di Spuma di Panna e Ravanello. Cercavo da un po’ qualcosa di sfizioso da fare con il ravanello perchè farlo finire nell’insalata era talmente deprimente che mi si ammosciava pure il cerchietto con le renne (che regolarmente indosserò fino al 7 gennaio).

Il Ravanello, parente del Daikon giapponese che con le sue lunghissime radici viene venerato nella cucina macrobiotica e in erboristeria, qui in casa viene venerato grazie alla presenza dello Spirito Miyazakiano. Giunto anni fa da una delle innumerevoli trasferte orientali del tizio pelato aveva bisogno di una ricetta a lui completamente dedicata e per la grandezza stessa della sua levatura morale (?cosastodicendo?) non potevamo affidarci a novelli della cucina. Nonostante per la città incantata infine abbia un altro asso nella manica che finirà nel mio libruncolo, qui sarà codesta ricetta ad indicarne l’ovvia presenza. Chi non avesse visto la città incantata può pure non rivolgermi mai più la parola, grazie.

Il risultato è sorprendente e il gusto dà ragione a Vissanuccio nostro.  Calcolando che l’abbia preparata io poi fa sperare che quella realizzata con le manine sante di qualcuno più bravo di me (sottotitolo: tutto il resto del mondo) possa far scoprire una chicca.

Sul fatto che sia antipatico non ci metto becco ma sul fatto che voglia far confondere e non poco il suo lettore metto una firma luminosa che parte da qui e arriva in Lapponia. Ma Lapponia Nord. Lo dice una che generalmente quando si rilegge con fermezza fissa il monitor e inebetita si domanda ” ma che ho scritto?” . Quindi la barzelletta di oggi è : Giulia tenta di spiegare Vissani. Che partano oltre le risate registrate dalla regia anche sonore pernacchie, grazie.

Ingredienti per circa 12 porzioni: 500 grammi di cioccolato Gianduia, 135 grammi di albume, 600 grammi di panna montata, 200 grammi di cioccolato fondente, 150 grammi di panna liquida, 160 grammi di ravanelli centrifugati, un foglio di colla di pesce, cognac, fogli di cioccolato fondente per guarnire, menta fresca, 2 ravanelli  per la decorazione.

Fare sciogliere il cioccolato gianduia  a bagnomaria a fuoco moderato o mettere semplicemente nel micro per un paio di minuti. Mettere poi 100 grammi di zucchero in un pentolino con pochissima acqua e portare ad ebollizione. Versare quindi la soluzione di zucchero e acqua a filo negli albumi mentre montano grazie all’aiuto di uno sbattitore elettrico. Incorporare quindi il cioccolato gianduia fuso negli albumi ormai montati a neve fermissima e girare con cura dall’alto verso il basso. Si otterrà una crema molto omogenea. Lasciarla raffreddare per un po’ di minuti mettendola da parte. Aggiungere a questa crema raffreddata 500 grammi di panna montata e aggiungere un pizzico di sale.

Preparare la ganache al cioccolato fondente facendo sciogliere questo a bagnomaria per cinque minuti a fuoco moderato o altrimenti utilizzando il microonde per qualche minuto. Sciolto il cioccolato fondente aggiungere 150 grammi di panna liquida e pochissimo cognac girando continuamente.

Prendere quindi gli stampini individuali e foderare le pareti con il composto di cioccolato gianduia. Al centro collocare un ricco cucchiaino di ganache al cioccolato fondente e richiudere quindi con quello gianduia al fine di avere un cuore cioccolatoso al centro quando il nostro dolce incontrerà il cucchiaino.

Centrifugare i ravanelli e mescolarli alla colla di pesce ( o agar agar nel caso in cu  i vostri ospiti dovessero essere vegetariani come me) precedentemente ammollata in acqua freddissima, strizzata e fatta sciogliere per pochissimi secondi al micro.  Incorporare 100 grammi di panna montata e lasciare riposare in frigo.

Sformare infine la mousse nel piatto, adagiare accanto una o due  quenelle di spuma di ravanelllo e ricoprire con fettine sottili di ravanello fresco. Decorare con fogli o pezzi di cioccolato fondente e una cimetta di menta fresca (ecco cosa mi sono dimenticata) . Una ricca strisciata o montagnetta di cioccolato bianco fuso e una spolverata di buccia rossa di ravanello grattugiata finissima per la presentazione.

Quando al centro la gianduia incontrerà il fondente e la quenelle di spuma il cioccolato bianco beh. La faccia del torinese è stata esaustiva.

Ed adesso devo solo capire se davvero buttare il latte di cocco nella zuppa di zucca come dice il grande Kumalè

(ma che poi mica sapevo che Kumalè significasse “Come va? ” in piemontese)

Natale in Stop Motion e Muffin al Cioccolato bianco e Pistacchio

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Adoro vederlo riverso tra i listoni del parquet mentre cerca con sadismo di provocarsi ancor più fastidio strisciando le unghie sul rovere per cercare di riprodurre il graffio sulla lavagna. Solo più rustico.

E’ come fargli il solletico, graffiare sulla lavagna e sgranocchiare cotone idrofilo producendo suoni che ai più provocano attacchi di panico. A me basta mostarmi un gattino o impormi di toccare del formaggio, per il resto posso pure fare quelle tre cose assurde anche insieme cantando All I want for Christmas is you. Perchè sì. E’ questo il problema. Non può sentirmi cantare in generale ma se si tratta di All I want for Christmas is you o Jingle Bells Rock il suo stato psicologico di solito stabile, quanto il cattivo gusto di Simona Ventura nello scegliere abiti succinti, vacilla. Vacilla pericolosamente.

A me piace, maledizione. Forse perchè mi sono fermamente convinta che nel video ufficiale la prima inquadratura  sia proprio  un nano da giardino travestito da BabboNatale e non un Santa Claus illuminato da due stilo 1.5   o semplicemente perchè c’è un coniglio bianco in orecchie/pelo/ossa  (che sia il caso di dare una ripassata generale? ) , la neve e Babbo Natale ballerino. E tanto basta per ritrovarsi alla fiera dei luoghi comuni natalizi. Dove io ci sguazzo, inciso. La data indicativa che mi vede protagonista di queste imbarazzanti esibizioni canterecce si aggira intorno al primo di dicembre  e quindi c’è poco da rimproverarmi. Gioco con pochissimi giorni d’anticipo. Pur comprendendo che 48 ore possano fare la differenza in questo caso. E nonostante non si sia mai fatto l’albero in casa prima dell’otto dicembre quest’anno fremevo e smaniavo più del solito. Avevo in progetto lo stop motion alberoso, cose conigliesche natalizie e una serie di amenità che richiedono del tempo. Nonostante io dorma quattro ore a notte. Ho già tirato fuori la tovaglia natalizia che devo ricamare, comprato una scozzese in preda ad una possessione chiaramente demoniaca vista la mia avversione per la texture, attaccato i cuoricini e le decorazioni in pannolenci realizzate lo scorso anno da me dove perirono tre falangette e due falangine. E c’è davvero tanta roba da fare ancora. Sono tutti un po’ in ansia in vista di quello che sarà Dicembre. Un mese di ordinaria follia con un pizzico di incapacità di intendere e di volere. Giusto quel surplus che poteva mancare. Perchè sono nata a Dicembre e qualcosa di mistico si impossessa di me. Mi piace come giustificazione, già.

E’ il Muffin al pistacchio  e cioccolato bianco quello che ho servito stamattina con una tazza di the nero al Nippotorinese. Per farmi perdonare della performance canora di ieri sera durata qualcosa come centoventidue minuti. La ricetta originale manco a dirla è di Bob. Quella che segue è una versione rivista del Muffin al The Matcha.  Ed è rivista da me; che ho pur sempre dieci decimi con annessi plausi dell’oculista ma credo che in questo contesto poco c’entri.

Recita più o meno così.

La Ricetta

Ingredienti per 12 muffin circa (sono abbastanza abbondanti come porzioni perchè io ne faccio sempre 1/3 e ne vengon fuori anche sei ma dipende davvero dagli stampi che si usano chiaramente): 225 grammi di farina semi integrale, 40 grammi di granella di pistacchio, 2 cucchiaini di lievito chimico, 280 grammi di zucchero, 330 grammi di burro, 7 uova (albumi e tuorli separati), 100 grammi di cioccolato bianco, 50 grammi di pistacchi interi.

Mescolare insieme la farina, la granella di pistacchio e il lievito. Rompere il cioccolato bianco a  piccoli pezzi grossolanamente. Sbattere energicamente il burro con lo zucchero per qualche minuto fino ad ottenere una consistenza soffice e cremosa. Montare gli albumi a neve. Incorporare i tuorli al composto di burro e zucchero e poi unire il tutto al miscuglio di farina, pistacchio e lievito. Alla fine incorporare gli albumi montati a neve fermissima e cercare di non lavorare troppo la pasta. Suddividere negli stampini per muffin non preoccupandovi di riempirla anche più della metà perchè è una pasta molto compatta. Dividere le pepite di cioccolato sopra ogni singolo muffin e spingetele un po’ dentro. Dopo la cottura non si distingueranno più ma il gusto rimarrà ben presente.

Guarnire i muffin con i 50 grammi di pistacchi interi sempre affondandoli un po’ nella pasta. Disporli al centro perchè non rischino di cadere durante la cottura . Fare cuocere 20-25 minuti a 180 gradi.

Cantare All I want for Christmas is you impavide/i e stoiche/ci e servire.

Ca’ Norma

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E’ una giornata memorabile (sì esagero sempre) .Non per chi dovrà sorbirsi due post in un giorno, certo.

 

Mamma ha provveduto alla realizzazione del vestito che ben si confà al Rabbid in questo periodo, ho trovato una pera che sembra indossare il cappello del nano da giardino e c’è gente disposta a retribuirmi per dei miei scatti che francamente reputo scandalosi. Insomma la fine del mondo è davvero vicina e non stento a credere che forse dovrei valutare davvero l’idea di  rasarmi la testa per scovare quel 12-12-12 tatuato sull’epidermide del cranio. Qualora la citazione cinematografica non fosse colta immediatamente si prega di dirigersi verso l’angolino buio seguendo il percorso luminoso.

Ho tantissime ricette arretrate è questa la verità;  ne approfitto quindi  per questo primo velocissimo e siculo per eccellenza. Più catanese a dirla tutta. L’omaggio è chiaramente al compositore Vincenzo Bellini e alla sua indimenticabile opera. E’ un piatto semplicissimo a basa di salsa, melanzane fritte, ricotta salata e basilico. Generalmente viene preparatp usando i maccheroni.

E’ pure vero però che qui La Pasta Ca’ Norma, letteralmente Pasta con La Norma ( come ad indicare un piatto di pasta con dentro la superiorità di tutta l’opera di Bellini dentro), si mangia in tutte le versioni e gli spaghetti non vengono di certo secondi ai maccheroni. Una versione un po’ diversa è quella involtinosa ( mi si conceda il termine) che di certo non verrà apprezzata dai tradizionalisti ma è pur vero che diventa comoda semmai i vostri graditi ospiti dovessero essere  in molti. Lasciando infatti gli spaghetti a metà cottura si potrà poi provvedere a terminarla in forno appena prima di servire. La ricotta salata generalmente non è facile da reperire se non si è residenti vicino alla mia ciurma di Rabbid  e nonostante non se ne possa fare a meno a dirla tutta si può sempre chiudere un occhio. Non è vero. Si può sempre lasciare un indirizzo  in modo che io provveda alla spedizione.

Pasta alla Norma (versione classica): Ingredienti per 4 porzioni. 300 grammi di maccheroni, 3 melanzane grosse, abbondante olio per friggere le melanzane, 500 grammi di pomodori maturi, 8 foglie di basilico, 150 grammi di ricotta salata, sale, 1 cipolla.

Pulire le melanzane, tagliarle a fettine non troppo sottili, cospargerle di sale e lasciare riposare un ora circa affinchè perdano l’acqua di vegetazione, Trascorso il tempo di riposo, friggere le melanzane in abbondante olio. Scolarle e lasciare su una carta assorbente per eliminare l’unto in eccesso. Nel frattempo spellare i pomodori e tagliarli a pezzetti. Fare un leggero soffritto con la cipolla e olio e buttar dentro i pomodori. Aggiustare di sale ed eventualmente di pepe ( ma pochissimo) e lasciare cuocere a fuoco basso per almeno 20 minuti schiacciando un po’. Lessare la pasta in abbondante acqua salata per alcuni minuti e scolarla molto al dente. Condirla con 70 grammi di ricotta salata grattugiata, mescolando bene. Unire quindi la salsa di pomodoro e le melanzane fritte mescolando nuovamente il tutto e coprendo con foglie di basilico fresco. Ultimare con la ricotta salata rimanente e servire.

 

Involtini di Pasta alla Norma: Il procedimento e gli ingredienti sono  bene o male gli stessi. 250 grammi di spaghetti però  dovrebbero bastare per un totale di circa 4 piccoli/medi involtini a testa ( L’importante sarà , come già scritto sopra,  togliere gli spaghetti a metà cottura nel caso non vengano  serviti immediatamente ai vostri commensali. Passarli in forno e via) . Nelle foto non compare la ricotta salata perchè il Nippotorinese la detesta. Ovviamente è un pazzo. Lo dice una che odia il formaggio da una vita e che alla parola ricotta cade in preda ad attacchi di panico ma qui nello specifico va messa. Va assolutamente messa.

 

Adesso devo solo capire perchè la pera e  Rabbid stiano litigando per quale sia il cappello di Babbo Natale più glamour. Altrimenti ci sarebbe stato un terzo post. I due vanno ringraziati,  insomma.

Update: Cri seguono occhi a cuoricino mi segnala che la Pera è chiaramente un Barbapapà vestito da Babbo Natale ma che in realtà ha trascorsi di nano da giardino. Adesso  sì che sono serena.

 

Crackers di Alga Nori

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Oggi è il Cyber Monday a quanto pare. Negli Stati Uniti il lunedì successivo al Black Friday; quello che dà inizio allo shopping natalizio online. Comincio seriamente ad amare queste idiozie che istigano a dilapidare i patrimoni familiari. Esiste dal 2005 e verrà onorato da me medesima come è giusto che sia, cercando altresì di recuperare per bene i cinque anni precedenti ahimè non adeguatamente festeggiati. Perchè chi sono io per sottrarmi a questi diktat della tradizione d’oltreoceano? Sono stata quindi costretta ad acquistare l’orologio di Totoro su Dreamkitty.com, che consiglio caldamente per chiunque fosse neurone esente come me. Con ancora il cuscino appiccicato in faccia, all’alba di questo inizio settimana ho cliccato su “Check-out” costringendomi a non farlo su “Continue Shopping”. Sono una persona oculata e parsimoniosa e qualora la regia facesse partire su quest’ultima affermazione le risate registrate potrei francamente offendermi e non retribuirla. Perchè sì sono io che pago la regia e non il contrario ma era lapalissiano suppongo.

Oggi mi aspetta una ricetta di Vissani con il ravanello. Roba che non sto più nella pelle perchè è da tempo che lo Spirito del Ravanello Miyazakiano vuole essere omaggiato culinariamente. Sabato però è stata la volta dei Crackers. E quando ho avuto questi crackers tra le mani un po’ ho pianto.

 

Mi fanno sempre questo effetto gli impasti base. Senza un perchè riescono a commuovermi e sto lì inebetita a venerarli manco fossero piccole effigi sgranocchianti di Jack Nicholson. Le mollettine sono la mia ultima perversione (medito di pinzettare anche l’albero di Natale).  Pur vivendo di passioni passeggere dubito che si possa annoverare tra queste. E’ ormai un amore indissolubile e imprescindibile. Stendendo i crackers su un nastrino con le mollettine cuoriciose ho capito che sono fatta per stendere crackers e non panni. E che quindi da oggi io e il nippotorinese indosseremo soltanto cracker. Coprireremo i nostri corpi solo di materiali crackerosi affinchè io possa essere felice. Con indosso il mio sobrio e maturo orologio di Totoro. L’immagine di me vestita interamente di crackers con il monile miyazakiano è il giusto fermo immagine per cominciare bene questa settimana che si preannuncia a dir poco bruttassai.

 

La ricetta originale l’ho presa dalla Cucina dell’Enciclopedia Italiana. Quella roba con tante pagine che venero portando all’altare fiori di bergamotto. Sì quella accanto all’immagine di Montersino sorridente vicino al suo freezer (Se ieri avete visto la crostatina con composta di pera e vaniglia in crosta di bignè con crema pasticcera e in casa  non avete un altare  a cui portare doni e vittime in segno di ringraziamento, dovreste solo vergognarvi. Ma calcolando che io ieri sera ho anche visto Giallo di Argento posso pure chiudere un occhio; dovrei vergognarmi molto di più. Ho recuperato qualcosina con Blade Runner Final Cut ma non ne sono mica sicura)

La Ricetta

Ingredienti per un chilo di cracker: 1 kg di farina tipo OO, 2 dl di olio extra vergine di oliva, 15 grammi di carbonato d’ammonio o in assenza basterà sostituire con il lievito, 2 dl di latte, sale grosso.

Essendo drogati di alga, wakame -goma -nori , ho ritagliato poi due fogli di alga nori per sorprendere il torinese in questo incontro culturale occidentale/orientale. E straordinariamente ci sono riuscita. Perchè l’entusiasmo è stato tanto che credevo stesse reintepretando Linda Blair in preda ad una possessione demoniaca. Quell’esaltazione inaspettata mi ha sinceramente sconvolto.

Procedimento: Disponete la farina a fontana sulla spianatoia e versarci al centro il carbonato d’ammonio, l’olio(tenendone qualche cucchiaino da parte), 1 cucchiaio di sale e latte sufficiente ad ottenere un impasto liscio e morbido (se volete provare la versione algosa come la mia naturalmente aggiungerete all’impasto anche i ritagli di alga). Lavorare a lungo l’impasto con le mani (io questo “a lungo” l’ho interpretato alla lettera e sarò stata lì per tempo immemore). Stenderlo allo spessore di 2mm e bucare in più punti la sfoglia ottenuta. Servendovi della rotella ricavare i rettangoli o la forma che più gradite. In una ciotolina, emulsionare l’olio tenuto da parte con 1/2 cucchiaio di sale e poca acqua. Quando il sale sarà completamente sciolto spennellare l’emulsione sulla superficie dei cracker (io in alcuni ho aggiunto anche del sale grosso per provare un po’).

Cuocere i cracker nel forno già caldo a 220 gradi per circa 10-15 minuti. A cottura ultimata, sfornateli e serviteli tiepidi o freddi. Il successo è francamente assicurato.

 

Dovrei prendere anche l’orologio a cucù di Totoro. Lo so.  E cestinare per sempre quel file che alla voce Argento recita: grande regista che mi ricorda la mia infanzia.

Pane di zuccca con Noci e Mandorle

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Oggi è il Black Friday,  ovvero il giorno successivo alla Festa del Ringraziamento e tradizionalmente in America dà inizio alla stagione dello shopping natalizio. Potevo forse io non festeggiarlo degnamente fosse solo perchè la parola shopping va onorata sempre e comunque? Domanda retorica e Buongiorno.  Essendo molto tradizionalista non potevo esimermi dal dilapidare il patrimonio con quel netto anticipo che mi contraddistingue. Da due settimane infatti i dipendenti di paypal sono in mio stretto contatto telefonico per confermare transazioni esorbitanti. Mi arresteranno per traffico illecito di idiozie che al momento viaggiano su navi cargo da diverse parti del mondo.

Shopping compulsivo a parte c’è qualcosa altro di compulsivo qui: l’acquisto di zucche. Da fine ottobre non si fa altro. Pina Fantozzi con i panini nella lavatrice era chiaramente una principiante. Ed è la volta del pane alla zucca con Noci e Mandorle.

In ostrogoto recita così:

 

  1/2 cups (210g) flour, 1/2 teaspoon of salt, 1 cup (200 g) sugar, 1 teaspoon baking soda, 1 cup (1/4 L) pumpkin purée, 1/2 cup (1 dL) olive oil, 2 eggs beaten, 1/4 cup water, 1/2 teaspoon nutmeg, , 1/2 teaspoon cinnamon, 1/2 teaspoon allspice, 1/2 cup (1 dL) chopped walnuts

E’ una fissazione, sì. Complice il periodo mangio una quantità di zucca vergognosa. Semplice. Al forno senza olio o altro. A tavola poi butto tanto di quel Sale grosso che potrei farmici lo scrub del corpo. L’ipertensione è amica mia. Ma non siamo qui per parlare di cose da vecchie anche se l’osteoporosi e le artrosi sono vicine. Checihounetaciho. La notizia del giorno è che . Alla Rinascente vendono le Cup. Quelle fastidiose unità di misura tazzose che quando me le ritrovo tra i piedi do di matto. Non che io legga le ricette girando le pagine con i piedi, sia chiaro (devo smetterla subito o posso continuare un altro po’? ). Perchè d’accordo che “dovrebbe essere intorno ai 210 grammi” ma a me viene l’emicrania immediatamente. Leggo “cup” e automaticamente mi dirigo verso la lavanderia nel mobiletto dei farmaci per un analgesico. Leggo ” 1/3 di cup” e mi vien voglia di incendiare la macchina dell’autore del libro. E mi immagino già quante cup di benzina usare per radergli al suolo tutta la carrozzeria. Ingaggiare un investigatore privato per scovare dove sia parcheggiata. E . basta, ok. Grazie alla Rinascente ci sarà quindi meno violenza e più macchine integre ed è un grande giorno questo. Un po’ meno per gli investigatori disoccupati ma santo cielo chi se ne importa?!

Questa ricetta originale americana recuperata dal buon Nippotorinese/aiutante/cheprestosaràlicenziato  in un sito di cui non ricorda l’indirizzo ed è per questo che preventivamente mi disfo di tutte le responsabilità mettendo in chiaro che eventualmente per problemi di copyrightricettosi doveteprendervelaconlui. Tuttattaccato, sì. Ovviamente ho desistito buttando cappello e grembiule sul piano cottura dopo aver letto 1/2 cups flour e 1/2 teanspoon. Essendo affetta dalla sindrome di Bree Van De Kamp potrei stare ore ad arrovellarmi se un teaspoon della signora in questione sia uguale a un mio teanspoon. Potrei impiegare ore immaginandola nella casetta vicino New Orleans con il suo vestito a fiori aggirarsi tra i cassetti  dove è riposto l’argento, lasciatole dalla nonna della mamma di San Francisco, intenta a scegliere il suo teaspoon segreto per il pane di zucca. Mi confonderei non poco se  l’immagine di una manager di New York prendesse il suo posto e quel tailleur firmato sporco di polpa di zucca finisse dritto in lavanderia dopo la pausa pranzo; unico momento per preparare il pane di zucca in vista del suo primo appuntamento con l’ispettore capo. E poi dalla lavanderia passerei a Nick Kamen che fa il bucato. Canterei la canzone. Mi sentirei vecchia perchè ero forse già nata quando mandavano quella pubblicità mentre mia cugina no. INSOMMA. Grazie al cielo c’è la Rinascente. Adesso logica vorrebbe che io dicessi: perchè ho trovato anche il teaspoon ufficiale alla Rinascente. La logica, appunto. E che c’entro io con la logica? Quindi niente teaspoon. ” E come hai fatto allora?” . E che ne so?! A occhio ho calcolato il teaspoon perfetto. Urge un videopost dove io spieghi come si calcola ad occhio un teaspoon perfetto mi sa ( vedo delle facce perplesse. Perchè? )

 

Ma avere già la certezza della cup era quella felicità a metà che non ci si può lasciar sfuggire. Quando la Rinascente venderà anche l’altro oggetto del desiderio allora sì. Sì che griderò Evviva Berlusconi (ma è ancora del cavaliere la rinascente? cielo. L’aggiornamento escort mi tiene così impegnata che non posso seguire tutto, dannazione) . Ammetto di averci messo del mio e di non aver perfettamente seguito le indicazioni. Una sorta di Bree coraggiosa ed impavida in un ‘insolita versione fantasiosa. Un pacifico serial tv americano trasformato in un horror, in sintesi. Come ammetto pure di essere una scema. E fin qui niente di nuovo. Ho pensato solo dopo che tutte le modifiche andavano saggiamente annotate nella fortunata ipotesi che si rivelassero esatte. Bene. Io non ho appuntato nulla ed è chiaramente colpa di quel tizio senza capelli. Troppo presa da Nick Kamen, lo shopping del Black Friday e il  vestito fiorato dell’anziana donna di New Orleans .

Cosa ci faccio quindi qui io? Se non ho seguito gli ingredienti in alto e non ricordo esattamente quelli usati da me? Risposta: Non lo so*scandendo bene ogni lettera con seria preoccupazione. Del resto questo non è un food blog ma un’accozzaglia di manicaretti (e polsinistorti. manica-retti. polsini-storti. no. Non riuscirò a distogliervi da tutto questo, ok) e il peso della responsabilità (?) quindi non mi schiaccerà. O forse sì. Non potendomi poi affidare alla mia scarsissima memoria procedo stoica ugualmente tentando in una sorta di training autogeno di esporre i vari passaggi mentre i ricordi riaffiorano (tempo perso lo so ).

La Ricetta

210 grammi di farina, 1/2 cucchiaino di sale, 60 grammi di zucchero (questo lo ricordo perchè 200 mi sembravano davvero esageratissimi. Non che io ne capisca molto di pane di zucca sia chiaro ma 60 e amen), 1 cucchiaino di bicarbonato, 300 grammi di zucca precedentemente lessata/messa al forno/cucinatacomecipare (io l’ho semplicemente messa in pentola con dell’acqua. scolata e schiacciata), 4 cucchiai di olio di oliva, 2 uova, 100 grammi di mandorle, 100 grammi di noci, 1 cucchiaino di cannella, 1 cucchiaio di spezie miste (chiodi di garofano,noce moscata,  zenzero), 1 cucchiaino di zucchero d’acero, 50 grammi di burro. 

E cielo credo di non aver dimenticato nulla. E “credo” è lampeggiante a caratteri cubitali. Di un colore sobrio: fucsia maculato magenta.

In una ciotola mettere: zucca, spezie, uova, burro, olio, zucchero, sciroppo d’acero, sale, bicarbonato  e con l’aiuto di una frusta elettrica amalgamare un po’ il tutto. Solo alla fine unire la farina setacciata e per ultime le noci con le mandorle. Un’oretta in forno a 180 e speriamo solo che vada bene nella sventurata ipotesi che tu o essere coraggioso sia arrivato fin qui. La cosa che mi fa arrabbiare e non poco è che tutti si sono complimentati per questo pane. Non ricordarne le esatte dosi mi mette un’angoscia tale che forse neanche il ricordo dello sculettamento di Kamen potrà risollevarmi.

 Ho rivisto su Youtube. Forse può risollevarmi, sì. Ma un po’ più Frank Further ad essere oneste.

E che sia un Black Friday bellissimo per noi donne tutte e orrendo per gli uomini/che/seguono/costrettiaforza/le/donne/far/shopping. Perchè è giusto così e perchè ahimè è così che va il mondo.

Conigliatei e Cous Cous dolci

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Ieri ho preparato al Nippotorinese un Cous Cous Tunisino profumato alle spezie. La versione che ho proposto è vegetariana ma le popolazioni del Maghreb (fingo di avere molte amicizie lì ok? reggetemi il gioco) aggiungono carne di agnello, manzo o pollo senza dimenticare chiaramente il pesce. Questo tipo di Cous Cous potrà essere accompagnato come da tradizione con un sugo di verdure (semplicissimo da preparare. Soffriggendo una cipolla con dell’olio extra vergine di oliva e aggiungendo i pezzetti di peperoni pomodorini, ceci già cotti, zucca. Una volta pronta questa salsa versare sul cous cous e tanti saluti. Saluti tunisini chiaramente).

La Ricetta

Per il Cous Cous Tunisino profumato alle spezie Vegetariano (orientativamente per 4 persone) occorrono: 300 grammi di Cous Cous, un pizzico di curcuma, una manciata di semi di cumino, 1 cucchiaino di zafferano, 1 pizzico di curry, 1 cucchiaino di zenzero, 1 cucchiaino di cannella, 1 cucchiaino di cardamomo, una spolverata di paprika, coriandolo, 1 cipolla di media grandezza.

Procedimento: Fare un leggerissimo soffritto in pochissimo olio con la cipollla tritata finemente. Aggiungere le spezie e girare premurandosi di non far bruciare la cipolla. Una volta aggiunte tutte le spezie unire il cous cous sempre girando e versare immediatamente due/tre bicchieri colmi di acqua tanto quanto per coprire (ma non troppo. Che non muoia affogato insomma altrimenti si dovrà chiamare la SSPICC: squadra sommozzatori Pronto Intervento Cous Cous) il cous cous. Aumentare così il fuoco (non esagerando) e lasciarlo cucinare in base al tempo consigliato sulla confezione. Avendone provati diversi il punto di cottura varia un po’ quindi si tratta davvero in questa ricetta di metterci un po’ d’attenzione. Perchè pur essendo semplicissima a volte la miscela spezie potrebbe risultare anche a tratti fastidiosa. Io ad esempio faccio una pioggia di zenzero perchè è in assoluto la spezie preferita del Nippotorinese e sto un po’ calmina con il cardamomo e il cumino che non gradisce particolarmente. Se ho a pranzo mamma gli butto sopra due chili di curry e se ho a pranzo papà sono felice perchè :1) non si lamente mai anche se trova Hello Kitty sgozzata nel piatto 2) gli piace tutto anche il cappello del nano da giardino fritto 3) è stramaledettamente figo. Che sembrerebbe non c’entrare con la cucina ma c’entra sempre l’incommensurabile beltà del mio papetto amoroso.

Ma l’Artusi aveva i capelli rossi?

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Ascolto Sade. Esattamente “Your love is King” e mentre decido le sorti del Mandarancio (il mio valletto fruttoso dei videopost) , che si rifiuta categoricamente di rinunciare alle sue iniezioni di botox, ticchetto un po’ qui sulle pastine pel tè senza acca dell’Artusi.

Ammetto la mia incommensurabile ignoranza. Nulla sapevo sulla “Scienza in Cucina e L’arte del Mangiar bene” fin quando il mio personale idolo in cucina Luisanna Messeri non ha fatto capolino in casa. Il mio primo amore non corrisposto chiaramente si chiamava Fausto. Aitante ometto figlio di amici dei miei dal colore dei capelli  splendidamente rosso vivissimo. Avevo otto anni e andavo letteralmente in brodo di giuggiole. Nonostante siano passati venti anni e qualcosina in più sto ancora lì inebetita a fissarlo con lo stesso sguardo sexy che potrebbe avere una cernia davanti ad un sarago al cartoccio (il perchè una cernia dovrebbe guardarlo con cupidigia, un sarago, non lo so mica però). Sognavo bimbi con i capelli ricci rossi lunghi e fluenti che correvano per casa. Che il mio futuro fossero dei bimbi pelati e saputelli era inaspettato ma invecchiare è bello solo per questo. Per prendersi in giro su quell’imbarazzante ingenuità. Com’è che sono finita a Fausto? ah sì. I capelli rossi. Nutro sempre fortissima simpatia a prescindere per chiunque possieda la fulva chioma. Onestamente un po’ più per quella naturale ma non disdegno che ne so Julianne Moore che si spara in vena l’ossigeno al novanta per cento ramato. In questo “amore fulvo a prescindere” un angolo speciale ce l’ha proprio lei : Luisanna Messeri. Nonostante sia disordinatissima in cucina e usi talvolta piatti orrendamente casalinghi scompagnati che a me farebbero un po’ saltare i nervi la amo. Incondizionatamente la venero e mi ritrovo spesso ad accarezzare con cupidigia i suoi due libri “Il club delle cuoche” e “Il club delle cuoche 2”. Il nippotorinese sa che quando Alice manda in onda il programma un religioso silenzio deve pervadere casa. Non importa se affoga un’anatra o squarta un cinghiale, visioni alle quali generalmente mi sottraggo , sto lì. Fissa. Come se fosse Fausto. E non è un complimento per quest’ultimo perchè santo cielo quando ero piccola avevo davvero buon gusto. Sì sto sottintendendo che dopo la scelta del nordico un calo oggettivo è avvenuto.

Che poi mai avrei immaginato di diventare amica della sorella, provetta cuoca con  il sacro fornello che arde dentro fino alle viscere. Un’attrice di talento con la quale ho avuto il piacere di poter condividere del tempo soprattutto in questo ultimo periodo. Più volte mi ha incitato ad aprire un blog.

Non ho trovato il coraggio di dirle che io un blog ce l’ho e da più di sei anni ormai. Un giorno ci incontreremo in rete. Ci riconosceremo chiaramente. Lei scoprirà di Fausto. La mia vita finirà e voi vi libererete di me. Insomma vi immagino già alla sua ricerca muniti di impermeabile alla Colombo e bassotto. A me piacciono più i basnove, ma è un’altra storia.

Luisanna ha il quadro dell’Artusi nel suo bellissimo casale toscano isolato dal mondo dove sogno di perdermi da brava eremita. Medito seriamente di fare lo stesso al più presto. Perchè nell’Artusi c’è quel raccontare la ricetta alla vecchia maniera. Come farebbe un anziano zio venuto da lontano. Un nonno appassionato di biscottini e cacciagione. C’è quella spaventosa normalità proprio come il servizio scompagnato. Quell’odore antico che ti fa rilassare e puoi essere quello che sei. Semplice.

Csaba inorridirebbe di certo davanti a  queste tazzine finte porcellana antiche ma comprarle da Zara Home a meno di dieci euro è francamente . Uhm.

Francamente figo. Su “figo” potrebbero rinchiuderla al reparto psichiatria. Fino a qualche tempo fa anche a me; le avrei spaccate a morsi e urlato “No. Assolutamente no!”, ma sono vecchia e romantica adesso mi entusiasmo per un nonnulla. E questo nonnulla tuttattaccato mi piace parecchio.

Sono biscotti antichi. Di quelli che ti ricordano qualcosa. Storie. Avventure. Di come si vestiva tua madre quando. Di come quando eri piccolo facevi dei lavoretti per avere un tozzetto di pane. Di come l’unico dolce dopo la guerra fosse un pezzetto di pera. E’ avvenuto questo offrendogliene uno a papà ieri a pranzo che sembra rimettersi giorno dopo giorno. E’ successo che ho amato l’Artusi. Perchè nessun biscotto fatto finora aveva scatenato questi ricordi e quindi. Sì. Artusi sia. Perchè in quel tozzetto di pane che può essere diventato champagne adesso,  rimane quello che veramente sei. Semplice. Schifosamente vero e semplice. Ed io in quel sapore ho visto l’insegnamento che per tutta la vita il mio papà e la mia mamma hanno cercato costantemente che diventasse mio.

Non mi sogno neanche di trascriverla. Copio letteralmente il grande Artusi in modo che non possa goderne solo io di cotanta meraviglia*inchino.

“Mistress Wood, un’amabile signora inglese, avendomi offerto un the con pastine fatte con le sue proprie mani, ebbe la cortesia, rara nei cuochi pretenziosi, di darmi la ricetta che vi descritto, dopo averla messa alla prova”

440  grammi di farina d’ungheria o finissima. 160grammi di Farina di patate. 160 grammi di Zucchero a velo. 160  grammi di Burro. 2 chiare d’uovo. Latte tiepido quanto basta.

Formate un monticello sulla spianatoia con le due farine e lo zucchero mescolati insieme. Fategli una buca in mezzo, collocateci le chiare e il burro a pezzetti, e colla lama di un coltello prima e con le mani dopo, servendovi del latte, intridetelo e lavoratelo mezz’ora circa per ottenere un pastone piuttosto tenero. Tiratelo col mattarello in una sfoglia della grossezza di uno scudo, tagliatela a dischi rotondi, bucherellateli con le punta di una forchetta e cuoceteli al forno o al forno da campagna in una teglia unta di burro. Con solo mezza dose della ricetta se ne ottengono assai.

Nani Kartell e NaniMuffinCupcakes e tutto torna

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Sono una cretina e fin qui niente di nuovo per questo inizio Week end. Facendo dei nuovi muffin dal sacro ricettario del nostro caro vecchio Bob mi sono resa conto che gli albumi andavano montati eccome nei Muffin alle pepite di Cioccolato. Complice l’emozione in vista del videopost ho vaneggiato ancor più del normale. Chiedo venia quindi soprattutto a Olivietta che li aveva trovati buoni di sapore ma un po’ bassetti ed esteticamente schifosetti (non ha detto proprio così perchè è adorabile ma credo che il senso fosse quello). Che i cappelli di tutti i nani mi perdonino per questa imbarazzante gaffe. Farò un accurato update immediatamente nella speranza vana che l’anima di Bob non mi perseguiti anche stanotte. Ho provato i suoi muffin alle mele per ingraziarmelo e perchè al nippotorinese piacciono parecchio. Non i muffin. Le mele, sì. Avevo la scusa servita su un piatto d’argento  “eh non ti piacciono i muffin ma sono alle mele!” (tutto studiato. la fubbbizia con 3 b in persona insomma). Più che su un vassoio di argento però: un vassoio di nano da giardino. Mai questo fantomatico vassoio d’argento capitò a fagiuolo come in questa tarda mattinata di Venerdì.

Alla domanda dell’ Architetto, poco tempo fa ” Ditemi le vostre esigenze primarie” io ho riposto “un giardino dove poter mettere una fila di Nani di Kartell. Un viale dedicato, insomma” ricevendo un sorriso corredato da sguardo vitreo e un “certo”. Eppure l ‘Architetto stesso mi ha decantato meraviglie circa la sede nonsodovemainnordeuropa di Kartell che ha avuto il piacere di visitare. Esiste proprio un viale alberato con tutte queste nanomeraviglie. Non vedo quindi il motivo per non emulare e omaggiare uno degli indiscussi maestri nanosi. (A maggior ragione quando sognavo di attraversarlo non sapendo che già al mondo un luogo così nanoso esistesse già. Insomma il ragionamento non fa una grinza nel cappello di tutti i nani)

Lui nella fattispecie si chiama Attila (è imparentato con Kobito il nano Cosmopolito, quello finito sul sito dell’autogrill sì) ed è proprio uno dei miei fidi compagni d’avventura in cucina. Lo stesso che fino a poco tempo fa reggeva i fichidindia come ho avuto modo di sproloquiare nel primo videopost. Stamattina all’idea di reggere dei Nano da Giardino Cupcakes era eccitatissimo ed emozionato. Ha posato quindi per me con i Muffin alla mela di Bob in versione Nanosa. Mi chiedo quanto Bob in questo momento potrebbe essere orgoglioso di me se solo sapesse. Mi perdonerebbe forse anche per gli albumi. Non per il videopost ma per gli albumi dannazione credo proprio di sì.

Promettendo di far attenzione con gli albumi (se dico altre 45 volte albumi vinco una confezione gratis di uova. Mi avete scoperto in tutta la mia pubblicit-àlbumescaocculta) trascrivo fedelmente senza farmi cogliere da emozione gli ingredienti:

Ingredienti secchi: 240 grammi di farina bianca o semi integrale, 75 grammi di fiocchi d’avena piccoli, 3 cucchiai di lievito chimico, 85 grammi di zucchero, 1 cucchiaio di cannella fresca in polvere e 1 cucchiaino di sale.

Ingredienti liquidi: 150 emmmelù (ok la smetto ) ml di latte parzialmente scremato, 110 ml di olio di girasole, 2 uova, 225  grammi di mela pelata privata dei semi e grattugiata e 80 grammi di mele a pezzetti

Il forno va preriscaldato a 205.

 

Mescolare tutti gli ingredienti secchi conservando un po’ di zucchero per spolverizzare la superficie dei muffin. Aggiungere la mela grattugiata, la mela a pezzi  e mescolare fino a quando saranno completamente avvolte dalla farina, il che farà rallentare l’ossidazione. Mescolare insieme il resto degli ingredienti liquidi. Infine  riunire  le due preparazioni e lavorare ma non troppo la pasta. Suddividerla negli stampi (12 circa) da muffin e spolverizzare con quello zucchero messo precedentemente da parte. Fare cuocere per 20-25 minuti  i muffin fino a quando saranno gonfi morbidi e ben dorati. Verificare la cottura infilando uno stecchino di legno al centro : saranno cotti quando uscirà pulito.

GIURO SU ATTILA che non si devono montare gli albumi qui. Ho riletto 129312938 volte. Forse di più.  Con la pasta di zucchero senza glucosio di FairySkullfocaccinamia e i coloranti alimentari della decora chiaramente ho fatto il resto. Senza dimenticare il pennarello alimentare che amo più di ogni altra cosa.


Il backstage del servizio fotografico nanoso
mostra il muffin peromeloso di Bob In tutta la sua orrenda nudità. Avrei dovuto fare altri scatti. Avrei, appunto. Peccato che queste foto risalgano alle sette del mattino e poco meno di due ore fa tre matti sono passati per darmi un bacio e si sono mangiati qualcosa come due muffin a testa. Gli altri? li hanno portati via (un nano andrà ad una fidanzata. Credo voglia conquistarla così ed io che conosco le donne posso senza ombra di dubbio asserire che. Non ci riuscirà). Due sarebbero rimasti per la merenda del nippotorinese. Se non fosse passato però mio papà.

 

Niente merenda per oggi mi sa ma rimane la gloria di questi fermatempo impavidi di me e Attila. Lui stoico senza dolore alle braccia (è da quest’estate che sta così ininterrottamente. Che naneroe!) ed io in vestaglia sfidando il vento. E la cervicale, che cihounetàcihoio.

Che sia un week end nanosamente bellissimo per voi. Il mio sarà all’insegna dell’acquisto compulsivo di applicazioni sull’Apple Store. Perchè se già veneravo quelle fotografiche tempo fa, adesso con quella roba dell’Hdr nel 4 viene voglia solo di tirarsi i capelli per la strepitosa risoluzione e possibilità di personalizzazione.

E quando ci si eccita così per dei cupcake di nano da giardino, applicazioni fotografiche e un piatto di broccoli bolliti che aspettano  significa solo una cosa: sei diventata una vecchia pazza tecnologica eremita.

Ma sei felice e quindi : chi se ne importa?

App Infinicam. Correte sull’Apple Store. Toglie almeno cinque anni. Che tutti i nani da giardino benedicano l’inventore.  Se non volete farlo per voi. Fatelo per il coniglio. Io chiaramente l’ho fatto solo per questo.

 

U babà

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No. Non scambiatela per falsa modestia piuttosto per  un’ iniezione di paranoia mattutina. Il mio problema infatti, oltre ad una preoccupante psicosi collettiva (collettiva a causa delle dodici personalità, sì) non è tanto la voglia di sentirsi dire “Ma no Giulia sei bravissima” come distrattamente potrebbe sembrare. Il mio problema si chiama “scarsa capacità di credere nelle cose che faccio/me stessa” . Stamattina scattando alcune foto e scribacchiando appunti per il libruncolo che sto scrivendo mi sono seriamente chiesta: ma voi lo comprereste mai un libro con delle mie foto/fumetti/ed etti di fumo?  E se mai in sei anni di carriera bloggareccia ho posto questa domanda è stata sempre per paura della risposta. Perchè non vorrei leggerci solo quell’affetto incondizionato talvolta immeritato che mi avete sempre riservato. Piuttosto eventualmente delle critiche e pernacchie. Per gli sbaciucchi e gli eventuali amoreggiamenti abbiamo sempre tempo. Tutto il tempo a dirla tutta. Perchè ci sarebbe qualcuno che crede in me e mi incentiva a farlo. Il suddetto libruncolo a prescindere da tutto avrà la pagina “fine” perchè non ho mai portato a termine niente. Sono la classica tipa che ” cominciamo 319238120398120938 cose e finiamone 1. Forse ma anche no”.

Avrà quella pagina perchè lo devo a me.  A mamma e papà. A Sick e non ultimo in ordine di importanza. Al nano da giardino. Adesso potrei salutare la nonna e dire che credo nella pace del mondo. Ma dovrei prima avere una sesta e poi essere stata invitata almeno tre volte nel salotto della D’Urso. Se avete la pazienza di aspettare… (quanto odio i puntini di sospensione, santo cielo)

Vi chiedo quindi questo favore se vi va e avete tempo. Di rispondere a questa domanda. Seriamente. Sarebbe il regalo più bello che voi tutti possiate farmi in questo momento. Grazie.

Inciso in update Che poi agli amici storici del blog (e vita ormai) santo cielo lo regalerei, chiaramente*segue pioggia di cuori (è una domanda stupida. Di quelle che fai agli amici. Insomma. Cioè. Ci siamo capiti? No. nel senso che. Ok vado a piangere in un angolino. Ho capito)

Ieri ho fatto i Babà. Ebbene sì, ho profanato la tradizione napoletana. Chiedo umilmente perdono in primis. Papà  è stato l’assaggiatore ufficiale perchè va ghiotto dei babà. So che mi manderete anatemi ma io il babà non l’ho mai mangiato. Astemia, sì. Non ci si crede lo so. L’uomo della mia vita dopo il primo morsetto ha sentenziato con un sorrisetto beffardo ” Amore mio è buono ma santo cielo non chiamarlo babà ti prego”.

Per dire insomma che la ricetta come prevedevo non è riuscita. Ho seguito vergognosamente passo passo degli ingredienti trovati sull’enciclopedia dei pasticceri italiani. Dopo il disastroso risultato ho indagato un po’ in giro per la rete e di questa farina manitoba nei babà neanche l’ombra. Mi chiedo se possa essere stata questa la causa del disastro. O semplicemente che cimentarsi nella preparazione del babà deve essere riservato a qualcuno che non sia io. Trascrivo quindi la ricetta soltanto affinchè si possa annoverare tra “le ricette sbagliate dei babà”.  Se qualcuno/a poi vuole erudirmi o spacciare sotto lauto compenso ricetta provata e degna di nota avrà la mia imperitura conoscenza.

Ingredienti per 12 babà mini: 25 grammi di lievito di birra, 50 grammi di latte intero, 4 uova intere, 50 grammi di zucchero semolato, 1 pizzico di sale fino, 100 grammi di burro morbido a pezzetti, 250 grammi di farina manitoba.

Per lo sciroppo: 150 grammi di zucchero semolato, 300 grammi di acqua e 200 grammi di rum scuro.

Per decorare: 3dl di panna fresca da montare. Macedonia di frutta di stagione. Fragole o ciliegine candite.

Sciogliere il cubetto di lievito nel latte tipiedo. Aggiungere nella planetaria le uova, lo zucchero, il sale e il burro. Impastare fino ad ottenere un composto omogeneo. Sempre mescolando aggiungere la farina e lasciare lievitare dentro la planetaria stessa coperta per almeno 30 minuti. Reimpastare per almeno cinque minuti passato il tempo. Imburrare e infarinare i mini stampini per i babà o uno stampo per ciambella del diametro di 24 cm e versare l’impasto. Mettere a lievitare in un luogo caldo per almeno 40 minut i e cuocere a fuoco 180 per 10 minuti e per altri 20 a 200.

E così ho fatto. Lo giuro sulla testa del babà brillo che stanotte ha fatto bagordi in casa con Hello Kitty. E non aggiungo altro (devono smettere di guardare le puntate del Grande Fratello mentre noi guardiamo Saviano! Li corrompe moralmente*moralizzatrice mode on )