Confesso che da 48 ore non alzo gli occhi dalla tavoletta grafica-agenda-tastiera-macchina fotografica se non per bere succo ace, mangiare pomodori di pachino neri di cui presto blatererò, fissare per qualche secondo il nano da giardino che ho messo sulla finestra di fronte alla mia scrivania e rispondere con voce scocciata “sì sono viva. respiro” a mammapapàpier che passano dalla mia postazione fingendo che sia una cosa casuale e non voluta.
Il periodo sintattico più lungo che la storia della lingua italiana (sefaperdì) ricordi.
Mi guardano e dicono ” sei pallida” per poi proseguire ” moooooolto pallida”. Da mamma non accetto neanche un bicchiere d’acqua perché temo che mi infili della carne di cavallo frullata con il contagocce che è risaputo essere piena di ferro e non mi stupisco più delle romanticherie del Nippotorinese che arriva con vaschette di gelato di riso gridando ” sorpresssaaaa!”. Esso vuole comprarmi con il gelato di riso gusto orzo GNAM ( e ci riesce in effetti) e attrarmi a lui.
Il brutto dello pseudolavoroincasa è che non smetti mai. Non c’è un inizio e una fine ma un allegro ed estenuante orario continuato. Mi giustifico mentre prendo appunti su Evernote, tipo ” bere acqua “ perché ho difficoltà a ricordare questa operazione e punto sveglie con descrizione “controllare se ha telefonato mamma-papà-nippotorinese”. Come il bimbo di Ogni cosa è illuminata o senza farla troppo romantica come il serial killer di Seven appunto qualsiasi cosa nelle decine di moleskine che mi circondano. Ognuno è catalogato per tipologia e ha un colore. In ognuno ci sono delle categorie e sotto categorie. Cartelle ed evidenziatori. Un enorme moleskine poi riassume tutti i piccoletti e da lì governo il mio mondo, iperuranio e progetti. Il risultato è apocalitticamente pazzesco. La mia scrittura diventa sempre più piccola, criptica e ricca di dettagli che non conoscevo e i frullati di idee sono inarrestabili, continui e viaggiano a una velocità talmente elevata che al momento stesso dell’elaborazione perdo una buona parte dell’essenza. Li rincorro maledettamente e per trattenerli uso anche gli appunti vocali. Che mi fanno sentire un po’ l’agente Cooper in Twin Peaks. Non si chiama Diane la mia interlocutrice ma si chiama: Nano.
Il Nippotorinese continua a dire che a breve nessun post apparirà alle 12:12 se non un suo messaggio con scritto: l’ho rapita e le ho bruciato tutti i suoi aggeggi elettronici. In realtà credo solo che sia normale preoccuparsi di chi si ama e niente di tutto questo accadrà. Solo che sto riuscendo davvero a fatica a gestire tutto e ogni sera come faccio con lui, mamma e papà chiedo : scusa.
E lo faccio con voi. Perché so che come loro mi direte: non preoccuparti. Siamo qui che ti aspettiamo. Ed è per questo che ho pochi dubbi sul fatto che siete davvero degli amici. Veri. Speciali. Ai quali va il mio immenso grazie e stima profonda.
Quando mi butto sul letto la sera. Vi leggo. A volte sorrido. A volte rido proprio. A volte scende una lacrima. A volte tiro su le coperte fin sopra la faccia per nascondermi dalla vergogna ed emozione. A volte.
E’ come se voi foste lo specchio di Alice. E’ come se ci fosse il mio mondo parallelo gestito da creature fantastiche. Sopra io. Sotto, oltre quella parola “commenti”, voi. La stessa pasta. Lo stesso amore. La stessa importanza. Ognuno di voi per me ha un ruolo. Un volto. Un disegno. E non vedo l’ora un giorno di trasformarvi in favola come voi fate ogni giorno con me.
Vi voglio davvero molto bene. Davvero molto.Tre anni fa, per la serie meglio tardi che mai, vengo a sapere che la cuddura pasquale sicula deriva da una certa coullura greca. Niente di nuovo o sorprendente, in effetti è passato giusto un pochetto di tempo ma sempre di Magna Grecia si tratta qui in Trinacria. E insomma tutto torna. Mi riprometto di fare la ciambella greca con le uova rosse che durante il periodo Pasquale proprio non può mancare sulle tavole dei nostri lontani parenti e sfoglio il libro di Vefa che mi ha fatto perdere completamente il senno e la testa, ammesso che io abbia mai avuto entrambi. Le ricette, come ho avuto modo di blaterare già dall’acquisto di questo adorabile libro che mi ha conquistato come poche volte in vita mia, sono molto simili a quelle mediterranee in genere e non vi è praticamente nulla di cui stupirsi se molte fanno parte della tradizione della mia terra.
Ad attrarmi oltre a tutte le restanti ricette, perché mi sono ripromessa che devo saltarne al massimo una (ma neanche quella), è stato proprio questo.. Avevo giusto un chiletto di mandorle buone da pazzi con le quali ho fatto la lotta intimando loro continuamente di non uscire da sole dal cassetto e stazionare nei dintorni della mia scrivania mentre lavoro. Uff. Perché non ero io che andavo a prenderle eh. Erano loro a venire da me. Per eliminarne qualcuna e propinare questa bontà, a dirla tutta, ho subito impastato e via in forno. Sicuramente questo pane lo riproporrò senza pensarci due volte il giorno di Pasqua. La cosa sorprendente è che resiste e pure molto. Non ha una consistenza particolarmente soffice anzi. Ma non oserei definirla neanche compatta. Uhm. Ha proprio una consistenza da pane casareccio ma con la morbidezza che solo un dolce può avere. La forma intrecciata su di me ha poi un’attrattiva estetica degna di nota.
L’altro giorno nel nuovo programma di Alice dove si sfornano panini di ogni sorta insieme a Patrizia Rossetti, hanno realizzato un mega panone enorme di una bellezza fuori dal comune intrecciandolo a sei; ovvero una tripla treccia nella treccia. Una robina apparentemente complicata ma a ben guardare si perderanno sì e no tre minuti. Peccato che avevo già confezionato questa semplice treccia perché altrimenti avrei intrecciato triplamente tutto. Molto scenografico, anzichenò.
Come gli Hot Cross Bun anglosassoni anche questo pane, pur contenendo il cioccolato e pure in quantità non minime, si fa fatica a definirlo dolce. Non si può relegarlo al ruolo di dolce. Sì certo sarebbe ottimo nel brunch in quel frullato di sapori indistinto che vi è tra il dolce e il salato ma anche in una tavolata convenzionale tirarlo fuori al momento del dolce potrebbe essere sbagliato. Non tanto quanto al momento del pranzo. Certo è vero che accoppiare un salume o un formaggio al cioccolato potrebbe essere al limite della comprensione umana ma è pur vero che in quel di Ragusa intingono provola nel fondente e pare che tutta questa bizzarria proprio non sia.
Cosa farne allora di questo bel trecciotto che non è dolce e neanche salato ma semplicemente buono da impazzire?
Farci un po’ quello che ci si vuole senza porsi tante domande. All’assaggio secondo il proprio gusto si reputerà quale sia la collocazione adatta. Io che da piccola mi cibavo con pane e kinder cereali potrei asserire che anche a pranzo mentre gli altri mangiano agnelli si potrebbe imbottire un trecciotto intero con un uovo di Pasqua e via: verso la Pasqua più felice del mondo ma dubito di avere una credibilità in proposito e dunque taccio.
In Grecia, come in Sicilia, è molto sentita questa festività e culinariamente parlando vi è una quantità di roba imbarazzante e santocielo sembra tutto allettante e buonissimo. Non vi è infatti un’elaborazione che faccia storcere il naso. Ti vien voglia solo di prendere carta e penna e redarre singolarmente tutte le ricette presenti. I biscotti quaresimali e quelli al profumo di arancia. I dolcetti alla ricotta speziati al miele e tante delizie con le uova. Anche sul salato Vefa lascia estasiati. Le foto sono bellerrime e le spiegazioni precise e colpiscono il punto. Innamorata. Sono perdutamente innamorata di Vefa.
Tartellette alle noci e barrette di sesamo al miele (anche queste fanno parte della tradizione della mia terra) fino ad arrivare ai biscotti di marzapane aromatizzati al mastice ( e non avevo sbagliato! non avevo! mastice proprio!) ma anche il polpo con le patate al forno e dei gamberoni particolarissimi in umido con risoni. Calamari con le ortiche e Omelette di Lesbo. Insomma. Vefa è un contenitore di idee e bravura. Riesce in pochissime battute e senza cincischiare a catapultarti in un mondo greco inesplorato e conosciuto. Tanto. Mi piace tanto.
Come mi piace questa cultura dell’intreccio e dell’uovo come filosofia di vita. Come mi piace l’unire i sapori amalgamandoli ai ricordi e alle tradizioni. C’è davvero un mondo di idee e ricordi tra questi odori e macchie che si formano sulla carta forno. Poi stai ferma lì. Li fissi. Vedi disegni e trame. Scritture e neanche fossero fondi di caffè leggi. Quello che eri, sei e sarai. Semplice pane.
La Ricetta
Ingredienti per una treccia di pane: 500 grammi di farina bianca forte per pane bianco, 15/20 grammi di lievito di birra (o un cucchiaio e mezzo di lievito di birra secco istantaneo), 1/2 cucchiaino di sale, 4 cucchiai di zucchero semolato extrafine, la scorza di un’arancia non trattata grattugiata finemente, 6 cucchiai di acqua tiepida e 6 di latte tipiedo, 2 uova leggermente sbattute, 5 cucchiai di burro già fuso, 1 uovo per spennellare, mandorle per decorare e 100 grammi circa di cioccolato fondente tagliato grossolanamente oppure delle gocciole.
Setaccia la farina con il lievito (se secco. Altrimenti fallo sciogliere un po’ nel latte tiepido per almeno 10 minuti) e il sale in una ciotola capiente. Aggiungi lo zucchero, la scorza, l’acqua tiepida, il latte e le uova già sbattute, poi poco alla volta il burro già fuso e lascia lavorare il robot per un po’ fino a ottenere un impasto soffice. Unisci un po’ di farina qualora dovesse risultare troppo liquido e un po’ di burro nel caso contrario. Copri e lascia lievitare per almeno due ore finchè il volume è raddoppiato. Lavora un po’ l’impasto e lascialo riposare per altri 30 minuti. Trascorso questo tempo aggiungi i pezzetti di cioccolato e lavoralo ancora un po’. Si amalgamerà tutto. Non lavorarlo troppo. Se sei in un ambiente troppo caldo il cioccolato tenderà a sciogliersi mentre è consigliabile che non si amalgami troppo all’impasto. Forma velocemente tre salsicciotti e forma una grande treccia. Poggia sopra le mandorle e copri la superficie spennellando un po’ con un uovo sbattuto e lo zucchero a velo. Lascia riposare altri 15 minuti e nel frattempo porta il forno alla temperatura di 200. Inforna per 30 minuti circa controllando lo stato del pane e lascialo raffreddare. Se devi conservarlo, tienilo sempre coperto.