Sabato ero alle prese con una mousdisciocolà, che continuo fortemente a sostenere si scriva così. Anche perché dubito fortemente delle persone che durante la preparazione della suddetta non sentano la necessità di parlare in francese anche se a stento conoscono l’idioma (il mio caso, sì). Tra sgesuicatrindenev e bongiurcarlàbrunì ripetevo mousdisciocolà petit sebon.
E’ un inquietante retroscena che potevo omettere ma perché mai? Tra un francesismo e l’altro la genialata improvvisa mi coglie proprio mentre la ganache (che si scriverà a ‘sto punto ganascieee) è quasi pronta. Avevo acquistato quindici peperoncini enormi; non perché qualcuno in casa ne faccia uso chiaramente (mi piace essere sensata sempre) e neanche per una visita imminente della nonna che da brava calabrese ne mangia otto inzuppati nel latte e nove chili tra fritturine leggere con ettolitri di olio e bagnate nello strutto di maiale. Avevo comprato questi peperoncini ENORMI perché la smania da brava agricoltrice da terrazza ha preso il pieno sopravvento. Volevo ricavare i semi, tagliare il resto a pezzetti e congelarlo per le preparazioni etniche. Non avevo mai ricavato e piantato i semi e non avevo neanche mai congelato il peperoncino (in realtà chi mi conosce sa quanto io sia refrattaria al surgelamento in genere ma nella vecchiaia poi ci si arrende). Volevo insomma votarmi all’idea di sfrenato cambiamento. Il risultato? Paralisi alla mano destra e sinistra con bruciore, prurito e bulbo oculare infiammato. Evviva! E tutto in un sol colpo eh. Sono una campionessa, tiè.
A mani nude ho tagliato questa chilata di peperoncino allegramente, parlando della mia mousdiciocolà e di quanto sarebbe stato bello dopo andarsi a mangiare tutti una granitina. A mani nude ho raccolto i semini che diligentemente posizionavo sul piattino dove li avrei fatti seccare per poi trapiantarli. A mani nude con le mie unghiazzemaledettelunghe ho giocato al piccolo chef che tagliuzza velocemente andandone pure fiera. Avvertivo un leggero fastidio alle mani. Inizialmente un formicolio e poi un inizio di bruciore come un’ustione ma conoscendo la mia stramaledetta delicatezza in ogni cosa impavida ho proseguito. Al grido di “sono una donna coraggiosa ormai!”.
E ho fatto male. Mamma, che stava passando dalla mia cucina con un carico di biancheria (perché se mamma è in casa mia lava tende, piumoni, giubbotti, pantaloni. Puliti intendo eh. Perché la sua passione è prendere roba pulita e rilavarla. Non c’è bisogno di chiedersi da chi abbia preso io, giusto? Il gene della follia è innato in questa pazzapazzapazza famiglia) profeticamente ha detto “Amore hai gli occhi un po’ rossi”.
In realtà avevo gli occhi rossi mentre le mani prendevano fuoco ed io avvertivo un leggero senso di soffocamento. Ora generalmente esaspero ai limiti dell’impossibile le descrizioni d’accordo, ma chi mi conosce sa che nel dolore non esagero per nulla. Sono sempre quella che con l’ulna rotta in due parti e il radio spezzato è rimasta al pronto soccorso dieci ore (DIECI ORE) facendo passare i codici bianchi sostenendo “è solo una slogatura nulla di più” per poi lasciare interdetti i radiologi. Sono sempre quella che quando si è fatta la gastroscopia ha detto al medico di non volere nessuna goccetta di valium perché mi piaceva proprio la sensazione del tubo nella gola. Sono sempre quella che quando si è spaccata il piede non se ne è neanche accorta e ha continuato a zompettare allegramente salvo essere ammonita con un “stai sporcando di sangue tutto il tappeto” (dieci punti).
Insomma per dire che ho una soglia del dolore talmente alta che quando all’improvviso sono scoppiata a piangere gridando “sto impazzendo dal bruciore aiuto” tutta la mia famiglia, nani da giardino, amici lontani, vicini di casa che non ho e quindi immaginari, e tutta la Sicilia orientale sono entrati nel panico.
Ho pianto per tre ore ininterrottamente. Nulla sapevo della potenza della capsaicina, composto chimico presente in diverse concentrazioni nelle piante Capsicum come il peperoncino gigante. E’ un alcaloide responsabile della piccantezza e riesce ad essere altamente urticante.
E’ bastato “googlare” un secondo “mani bruciore peperoncino” per scoprire un mondo. Il peperoncino non va mai tagliato a mani nude. Leggendo nei diversi forum di persone addirittura preoccupate per la rottura del guanto durante il tagliuzzamento del peperoncino mi sono messa le mani tra i capelli. O meglio. Se avessi potuto mi sarei messa le mani tra i capelli.
Avevo raccolto singolarmente ogni seme. Avevo tagliato a mani nude qualcosa come un chilo di peperoncini. Se nei diversi forum si parlava di bruciore, ustione e orticaria per diverse ore in riferimento a “sbagli”, nulla vi era circa una “pazza che non ne sapeva niente della capsaicina e si è messa a tagliare a mani nude una piantagione”.
Il risultato è stato ai limiti del comico (adesso che non fa male). Grazie al cielo su twitter riesco ad ottenere risposte come fosse un oracolo. In moltissimi mi hanno consigliato di passare immediatamente la saponetta di acciaio inossidabile, spruzzare limone, passare olio d’0liva, immergere nel latte, non usare ghiaccio e mettere in pentola con aglioeolio le mani e farci una spaghettata (ai più spiritosi in quel momento è andato tutto il mio disprezzo perché il dolore era insopportabile, santo cielo).
Le ho provate tutte. Naturalmente nessun pazzo/a svolgerà mai nella vita l’operazione di affettare piantagioni di peperoncino ma semmai dovesse accadere: calma, sangue freddo e pianto a dirotto (pure a dirnove e dirdodici eh. Che otto non basta mica). Il dolore sarà lacerante (dipenderà dalla presenza dell’alcaloide e dalla grandezza dei peperoncini. I miei avevano vinto un campionato) ai limiti dell’insopportabile ma in nessun modo la capsaicina potrà andare via se sarà trascorso già del tempo. Il sapone d’acciaio come lo stesso grasso dell’olio, unico rimedio in quanto la capsaicina non è solubile in acqua e quindi lavarsi non serve, è utile solo quando è appena avvenuto il contatto. Nel mio caso era già entrato nell’epidermide e la quantità era pericolosamente elevata. Il farmacista in preda ad un attacco isterico voleva ricoverarmi più per schizofrenia che altro. L’unico sollievo che ho provato è stato quello di infilare le mani in tantissimo latte. Inizialmente vi era dello zmyl in casa ed è stato pressoché inutile in quanto di grasso ve ne è ben poco. Con il parzialmente scremato è andata meglio ma con l’intero si sono raggiunte vette di goduria. Per una intollerante al latte che odia il peperoncino ma con la passione di tagliarlo e congelarlo, ritrovarsi come una novella Poppea a piangere e gridare “aiuto non potrò mai più disegnare e fotografare” è stato un momento davvero pregno di significato.
Il dolore è durato in una fase acuta e assurdamente insopportabile la bellezza di sette ore piene. Senza alcun tipo di esagerazione posso sostenere che per sette ore un bruciore vergognosamente incisivo mi ha accompagnato. Poi all’improvviso è entrato in una fase calante. Sfinita nel letto e stanca più per le lacrime e la preoccupazione di perdere l’uso delle mani per sempre (oh sono ipocondriaca io eh! Resisto al dolore vabbè ma sono ipocondriaca) al grido di “non potrò mai finire il mio libro. La mia vita è finita. Lascio tutte le mie borse a Cristiana. Salutatemi bestiabionda. Dite a Max che la pasta al kiwi è buona e che Pani conquisterà il mondo” e tutta una serie di messaggi fondamentali per la sopravvivenza umana sono crollata.
L’indomani era come se non fosse successo nulla. Ma qualcosa è successo. Ho dato fuoco al peperoncino e giurato su quanto ho di più caro che per me è guerra aperta dichiarata. Mi sono convinta di avere un obbligo morale da perseguire adesso. Inventare un peperoncino piccante che si possa tagliare a mani nude e che più viene tagliato più svolge un’azione emolliente, rilassante e rinfrescante per le mani.
Chiaramente non so quel che dico ma so che ce la farò.
Per chiunque si trovi nella mia stessa situazione (è impossibile essere talmente cretini ma se anche tu sei riuscito ad eccellere nella sacra arte dell’idiozia qualamanoamico fatti vivo e mandami una mail che ci beviamo un succo di frutta insieme): latte intero a temperatura ambiente, tanta pazienza e biafin. E persone splendide che vi sopportino.
L’unica crema che mi abbia portato un po’ di sollievo (nella fase finale) è stata (consigliata da dottori e farmacisti) proprio la suddetta meraviglia che ha di per sé del miracoloso.
La Domenica, dopo aver sofferto ed essermi lamentata come piace fare a me, ho ceduto al lato oscuro della capsula Nespresso uotelse. Premesso che io e il Nippotorinese (più io) detestiamo George Clooney che ci fa andare di traverso il cibo durante le sue stupide pubblicità quando spunta con quel facciotto da pesce lesso in zuppa (vorrei tirargli i capelli e perforargli i bulbi oculari infilandoci dentro con violenza inaudita gli indici. Con tutte le unghie, sì) insommaaaaaaaaaaaa.
Sì. Ho approfittato del mio dolore per convincere definitivamente il pelato a cambiare macchina del caffè. Era una Gaggia fiammante capace di fare cappuccino, mokaccino, caffè turco, islandese e pure alieno con tanto di macina caffè. Era una Gaggia ancora funzionante, meravigliosamente ipertecnologica con touch e pure sim integrata che ti chiama e manda sms scrivendoti “mi riscaldo un po’. Quando vieni a casa che ti faccio un bel ristretto?” e così via ma era ENORME. Talmente enorme da occupare un piano per me vitale durante le preparazioni. Il suo posto d’onore era accanto al Nippotorinese in ufficio. Nel suo bell’ufficio disordinato dove io non posso catalogare, sistemare e organizzare nulla. Nel suo regno fatato dove non posso intervenire con i miei colori, sistemi di riferimento e maniacalità applicate. Qui in casa sarebbe bastata una macchinetta picciuina e ipermoderna fescion inutile da aggregazione sociopatica come piace a me. Costosa, poco pratica, senza ragione di esistere e da omologazione da status symbol. Abbiamo avuto un dibattito politico di nove ore con tanto di clessidra manco fossimo Berlusconi e Prodi ai bei tempi di Bruno Vespa quando il bunga bunga non allietava ancora le mie giornate (oh mi riascolto le intercettazioni della Polanco e rido con le lacrime. E’ normale? Vorrei imparare il brasiliano solo per capire meglio alcuni passaggi. E’ normale? No. Nessuno mi risponda).
Ho vinto io solo dopo aver allungato le manine e con occhi da cerbiatto aver sussurrato “ho sofferto tanto ieri . ancora brucia forte forte” (ovviamente non era vero). D’accordo non è vero. Il Nippo non si commuove così. Ho vinto io afferrando la scatoletta della macchina del caffè. Urlando. Dirigendomi alle casse e urlando “comando io intesiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii?!?!?!??!”. Non è vero manco questo ma.
Ma è vero che ora un piccolo aggeggio fescion è lì. A donare spazio al piano che mi occorre per le mie mousdisciocolà e taglio del peperoncino, of course. E’ lì che troneggia in tutta la sua inutilità. “Hai preferito l’estetica all’utilità” mi ha sussurrato mentre stamattina sfogliavo la selezione delle capsule (oh sono economiche eh! Basta vendersi la casa e puoi berti dieci caffè!). Si è diretto con in braccio la Gaggia mentre le sussurrava “vieni piccola. Lei non ti vuole. Preferisce le magroline fescion taglia trentotto. Non te cicciotta, dolce e affidabile”.
Dovrei sentirmi un verme lo so. Il problema è uno. Non mi ci sento perché nella rappresentazione figurativa il verme al mio confronto è un essere adorabile. L’autocoscienza è la mia forza.
Tutte queste storie poi, quando non sono riuscita neanche ad averla in una nuance rosa pastello come volevo io. Mi accontento delle capsule barbiegirl.
Di rosa però ho questi piatti Alessi che adoro. Fossero stati anche mirtilli rosa sarebbe stato meglio ma so accontentarmi (ok per prendermi a ceffoni ci si munisca di numero e si prosegua con calma).
(ahhhhhhhhh vedere Lorax. Alberi rosa. Tutto Torna. Vedere Lorax. Vedere Lorax. Non vedo l’ora di abbinare una ricetta a questa visione sorprendente che merita inchiostro e inchiostro).
Dicevo? Ah sì. Rosa! uotelse? (picchiatemi, sì)
Che il caprino si sposi bene alla frutta non è certamente una novità. Un’insalata abbastanza conosciuta, light, gustosa e davvero sfiziosa è proprio quella con il formaggio per l’appunto e il mango (clicca qui per la ricetta). Nelle varie preparazioni con caprino e frutta è poi divertente il modo di presentazione. Si può semplicemente “sbriciolare” sul piatto e adornare di frutta condendo con buonissimo olio extra vergine di oliva e una giratina di pepe nero fresco macinato sul momento oppure procedere a qualcosa di elaborato (mica tanto).
Il mango infatti potrà essere tagliato sottilissimamente e successivamente imbottito con il caprino leggermente lavorato in un recipiente con la frusta (o forchetta) insieme a qualche generoso cucchiaio di olio, sale e spezie. Un arrotolamento veloce per un Sushi vegetariano e innovativo fruttoso al cento per cento che non potrà che sorprendere in tavola. Soprattutto quando si ha voglia di fresco e porzioncine da brunch o finger food. A tal proposito anche l’idea di infilare la “crema” di caprino in un bicchierino e adornare in cima con frutta fresca rimane un’idea carinissima. A maggior ragione se a far da contorno c’è pure un cucchiaino particolare e carino. Ve ne sono in vendita davvero di carini e glam, anche se di plastica.
Come non ricordare a questo punto la graziosissima torretta-polpettina di caprino tutta ricoperta da una gustosissima crosta di nocciole piemontesi tritate? (clicca qui per la ricetta). E i tre cucchiaini formaggiosi per un antipasto a base di formaggio e frutta? (clicca qui per la ricetta).
Il caprino insomma rimane una garanzia soprattutto in fatto di elaborazioni fresche, veloci e particolari perché ben si abbina a queste “variazioni” particolari. Allo stesso modo il mirtillo, che non è certo da meno per particolarità di accostamento: come dimenticare le polpette con salsa di mirtillo (clicca qui per la ricetta) o la semplice insalatina con mirtilli e gherigli di noce (clicca qui per la ricetta del bento)? Caprino e Mirtilli, mi sono detta, e così è stato mentre programmavo queste fantasmagoriche tagliatelle ai mirtilli di cui narra un libriccino vecchiotto ma a quanto pare più all’avanguardia di quelli attuali.
E’ una preparazione semplicissima ai limiti del vergognoso tanto è facile. In pratica si “sbriciola” un po’ il caprino e si adorna con mirtilli freschi. Olio extra vergine di oliva con tanto sale e pepe bianco (o nero ) freschissimo macinato sul momento.
E’ un po’ difficile lasciarsi andare ad accostamenti inusuali. Credo non ci sia nulla di male davvero nell’essere diffidenti. Poi però si deve smettere e osare. Perché è proprio quando ci si lascia andare che comincia il bello.
E il bello risiede anche nell’accostamento del caprino e mirtillo, sì. Sarà un’estate difficile con me, lo dico prima. Ci saranno accostamenti che faranno rabbridividire.
Ma solo chi non avrà il coraggio di osare.