Ricette Vegetariane e Vegane

Torta (senza farina) ai datteri e cioccolato con crema di formaggio alla vaniglia e fondente caldo

Per 8/10 persone

  • 4 albumi
  • 120 grammi di zucchero
  • 200 grammi di cioccolato fondente
  • 100 grammi di noci
  • 75 grammi di mandorle
  • essenza di acque di rose
  • 175 grammi di datteri snocciolati e tagliati a piccoli pezzi

Per la glassa:

  • 200 grammi di formaggio freschissimo
  • 200 grammi di mascarpone
  • zucchero a velo se si vuole
  • cioccolato fondente sciolto per guarnizione finale
  • si può arricchire la superficie con un po’ di datteri, mandorle e pistacchi se si vuole

Imburra e sistema della carta da forno in una teglia a cerniera di 20 centimetri circa, anche le pareti. Prepara prima di tutto la glassa/copertura mescolando il formaggio e il mascarpone con lo sbattitore elettrico o con il robot. Aggiungi l’acqua di rose, lo zucchero a velo (non troppo) fino a ottenere una bella crema che conserverai in frigo per tutto il tempo della restante preparazione.

Taglia a pezzetti piccoli il cioccolato, i datteri e spezza le noci. In un recipiente sbatti gli albumi fino a renderli compatti e a neve fermissima. Incorpora lo zucchero poco alla volta mentre lavori (si potrebbe pure farne sciroppo di zucchero caldo-e-raffreddato  proseguendo per una vera e propria meringa). Una volta ottenuta la meringa aggiungi pian piano i datteri, le noci e il cioccolato, poi l’essenza di rose. Poi versa il contenuto sulla teglia. Inforna a 180 già caldo per 45-50 minuti. Prima di cospargere la crema al mascarpone sulla torta, questa deve essere completamente fredda. E’ una torta che va conservata in frigo e che va consumata il giorno stesso. Il giorno dopo “sgonfia” un po’ ma il sapore è ugualmente godurioso. Per le decorazioni di fondente sopra adopera una piccola sac a poche con punta finissima giusto per qualche ghirigoro oppure procedi come preferisci secondo tuo gusto. Una colata? Va bene lo stesso, eccome.

A fondo del Post la Terza Scheda scaricabile della Ricetta 

Della Torta Moykeil, dei datteri, della via di Damasco, della Faccia di Gioconda e tutta la semplice magia che ci può stare dietro un’amicizia ho ticchettato qui. Una torta con pistacchi, mandorle, datteri e acqua di rose, che confesso essere ormai uno degli ingredienti più usati ultimamente. Ho abbandonato la vaniglia e l’onnipresente cannella (che metto pure nel caffè) per dar spazio a questa essenza che racconta  la delicatezza, troppe volte surclassata da altro, del Mondo Arabo tutto. Questa torta non è affatto un dolce tipico siriano ma un’elaborazione che voglio dedicare e righe più sotto scoprirete il perché (fermo restando la dedica esplicita a Mohamed). Un mix tra Occidente e Oriente. Una via di mezzo. Una sorta di equilibrio. Senza farina raffinata bianca, con cioccolato e note tipiche del Medio Oriente. Un mix esplosivo per il palato. Non farò assolutamente finta di sapere qualcosa della cucina Siriana.

Pur avendo girovagato sul web non sono affatto rimasta soddisfatta e nessuno dei miei libri che parlano di cibo, dolci e Street Food nel mondo è riuscito a saziare questa voglia di saperne di più al riguardo. Fortuna che ho la mia Bibi, esperta di cucina araba che può sicuramente aiutarmi. Ha fatto diversi corsi di Cucina Araba proprio perché appassionata e la sua Baklava è famosissima per bontà, gusto e gestualità nel prepararla. Manco avesse abitato in Medioriente per millenni carpendone tutti i segreti. Quelli più fitti tra le trame.

Sarebbe stato facile insomma collocare questa deliziosa preparazione in Turchia, Libano, Tunisia (che conosco un po’ di più) perché a dirla tutta, proprio perché non trattandosi di un dolce tipico (al contrario della Pastel de Belém a Lisbona e dei Biscottini alle Mandorle greci di ieri) sarebbe stato diciamo più sensato. Da quando ho intrapreso questo viaggio per il Pappamondo, che non parte affatto dallo scorso primo dicembre ma bensì da due anni fa (come sostenevo diversi giorni addietro), se c’è un luogo che mi ha incuriosito più di tutti oltre l’Estremo Oriente è proprio tutta la Fascia Araba. Un mondo incredibile da un punto di vista estetico ma soprattutto culturale, per noi occidentali fatto più di stupidi luoghi comuni che di obiettività. Esasperazioni che accentuano quanto poco a volte si voglia dedicare il tempo a conoscere le cose. Avendo paura più di quello che non si vuole vedere, per certi versi.

Mortificare una vastità incredibile di prodotti riassumendo in spiedini di carne, caramelle di gelatina e acqua di rose e una sorta di pizza/pita/man’oushe sarebbe come dire che la cucina italiana è spaghetti e pizza e quella giapponese sushi e sashimi.

La cucina araba, che si tratti di quella Orientale (Arabia Saudita, Yemen, Iraq, Siria, Libano, Palestina, Giordania) o di quella  Occidentale (Marocco, Tunisia, Libia, Sudan, Egitto, Algeria), riesce a essere un incredibile punto di incontro tra la cultura Occidentale e quella Orientale se vogliamo. Come in tutte le civiltà riassume il passato, il presente e il futuro e quindi il tempo tutto. Non è qualunquistico rievocare le Mille e una Notte, racconti e fiabe e neanche tappeti volanti, paesaggi mozzafiato ed espressioni di desideri. Ci sono diverse e sostanziali differenziazioni. La cucina maghrebina (maghreb dal berbero significa “luogo del tramonto” perché situato nella parte più occidentale dei paese arabi”) si riferisce all’aerea più a ovest del Nord Africa che affaccia sia sul Mediterraneo che sull’Atlantico: Nord Tunisia, Algeria, Marocco. Invece la cucina del Mashreq, che significa “luogo dell’alba”, include l’insieme dei paesi arabi che si trovano a est rispetto al Cairo e a nord rispetto alla Penisola arabica, e comprende anche Iraq e Kuwait.

Luogo dell’Alba e Luogo del Tramonto. Un inizio e una fine come in un perpetuo continuo. Un’appartenenza alla stessa essenza che purtroppo, con il dolore del cuore, ha portato molta sofferenza alla popolazione araba tutta, senza alcun tipo di distinzione. La cucina magrebina per certi versi è quella più conosciuta se vogliamo. Il sempre presente cuscus, emblema di tutta la cucina araba, ha le sue origini proprio tra le dune del Nord Africa; chi mi segue anche solo un po’ sa quanto io sia letteralmente fissata con il Cous Cous tanto da sceglierlo come piatto da portare al mio incontro all’Hafa Cafè. In chiave sicula, ovvero il Cous Cous alla Norma. Esperienza che ricordo come tra le più belle della mia vita. Le cuoche marocchine sono rimaste nel mio cuore. Quell’immagine indelebile di loro che sgranano e impiattano il Cous Cous. E quell’immagine indelebile pure di me che sto per cadere dalle scale, ma credo non sia questo il luogo per dover rivangare i miei imbarazzanti strafalcioni pubblici. Le carni rievocano i beduini e l’appartenenza a uno stile di vita araba. Il montone ne è un fulgido esempio. I legumi, le spezie, il pane rigorosamente non lievitato, le zuppe e la frutta secca. I tè alla menta che è difficile dimenticare  e quel sapore costante di miele nel naso. Di zucchero. Di sogno.

Diciamocelo, essendo sicula non è che io appartenga a una cultura tanto diversa, eh. Sono orgogliosamente più nord africana che sud italiana a dirla tutta (oh!). In molti vogliono e pretendono che questa sottile differenza non sia messa in risalto. Conosco persone che a una tale affermazione si offenderebbero. Ecco. Per me è l’esatto contrario. La fascia della Spagna a sud dominata dagli arabi e la Sicilia tutta, che porta con sé la Grecia come ticchettavo ieri, ha una fortissima radice Araba e non mi riferisco solo al Cus Cus di Trapani, per dire. Ma proprio a tutta la concezione che si ha dell’ospite e al concetto intrinseco di ospitalità. Pare che il profeta Muhammad dicesse “il cibo di due è sufficiente per tre e il cibo di tre è sufficiente per quattro”. Un detto siculo dice “unni mangiuni due mangiuni tri. Unni mangiuni tri mangiunu quattru” (sicuramente non scritto così ma confesso un abissale ignoranza del mio dialetto). Dove mangiano due mangiano tre. Dove mangiano tre mangiano quattro. Non è che ci voglia particolarmente genio per cogliere anche negli aforismi, detti e proverbi popolari una fortissima radice comune. Non è dissimile infatti sentire un Arabo non sentire la mancanza di casa quando è qui in Trinacria e viceversa.

Il cannolo e diverse preparazioni dolciarie siciliane devono tutto alla Cultura Araba. Il dialetto stesso etimologicamente porta con sé segni della dominazione che insieme a quella spagnola e greca più ha segnato il territorio. Un’altra ricetta, che pubblicherò a breve sempre durante questo viaggio, dimostra come il nome di un dolce tipico arabo ne rievochi uno famosissimo in Sicilia.

In occasione della Torta Moykeil avevo scritto:

“Come nelle magie. Come nelle fiabe. Di due bimbi diversi lontani, ma forse non troppo, che guardano la stessa luna con uno spirito infantile sognando in grande e che alla fine riusciranno a mangiare insieme una fetta di torta. Ricca e abbondante con una cospicua manciata di datteri e pistacchi. Senza sapere chi sono veramente. Ma in fondo, esattamente sì.”

Perché si è fratelli sempre quando il senso di se stessi, della vita e degli altri appartiene alla stessa cultura, tradizione e soprattutto cuore.

  • Scarica la Scheda numero 3 del Pappamondo se vuoi conservare ricetta, foto e disegno

(basta fare tasto destro-salva con nome. Ho messo una risoluzione abbastanza alta ma se vuoi il formato .pdf o una risoluzione ancora maggiore non esitare a chiedermelo. A fine Giro Natalizio raggrupperò tutto il malloppotto e ne farò un piccolo book virtuale) 

QUESTO POST È STATO PUBBLICATO IL: 

Iaia
Iaia
Grazia Giulia Guardo, ma iaia è più semplice, è nata il 12 12 alle 12. Il suo nome e cognome è formato da 12 lettere ed è la dodicesima nipote. Per quanto incredibile possa sembrare è proprio così. Sicula -di Catania- vive guardando l’Etna fumante e le onde del mare. Per passione disegna, scrive, fotografa, cucina e crea mondi sorseggiando il tè. Per lavoro invece fa l’imprenditrice. Digitale? No. Vende luce, costruisce e distrugge. Ha scritto un libro per Mondadori, articoli per riviste e testate e delira pure su Runlovers, la comunità di Running più famosa d’Italia; perché quando riesce nel tempo libero ama fare pure 12 chilometri. Ha una sua rivista di Cucina, Mag-azine, che è diventato un free press online. È mamma di Koi e Kiki, un labrador color sole e uno color buio, mangia veg da vent’anni, appassionata di cinema orientale e horror trascorre la sua giornata rincorrendo il tempo e moltiplicandolo.

Seguimi anche su Runlovers

Tutte le settimane mi trovi con una ricetta nuova dedicata a chi fa sport

MUST TRY