Ricette Vegetariane e Vegane

L’unico ingrediente è l’amore. Una cuddura per papà.

 

Nella Cuddura c’è il significato primordiale dei miei ricordi. Quelli più ancestrali e profondi. Papà, nato subito dopo la guerra, ha vissuto in una realtà ben diversa dalla mia. Fin qui nulla di nuovo. La disparità però tra la mia vita e la sua è talmente abissale da farmi talvolta girare la testa fino a perdere i sensi. Questo perchè il mio papà è riuscito ad uscire da una condizione che apparteneva alla sua famiglia da sempre. Suppongo che non sia cosciente della sua grandezza quando parlando mi dice sempre “eh amore ma io non ho studiato”. Non correla certamente lo studio all’intelligenza, anche perchè fulgidi esempi vicino a noi dimostrano quanto faccia ridere solo pensarlo, ma quasi. Si sminuisce credendo che non avendo potuto studiare la sua vita sia stata totalmente compromessa. E’ questo il punto debole del mio papà. Perchè il suo sogno era studiare. Il suo sogno era diventare un ingegnere o un matematico, suppongo. Non lo ha mai ammesso ma in particolar modo la figura dell’ingegnere nel suo immaginario rappresenta l’estrema conoscenza. Il dottore no. L’ingegnere e il matematico sì. Appassionato da sempre di matematica e genio puro, mi racconta di come con i primi soldi comprò un libro di Estimo. Noi quel libro lo abbiamo ancora. E’ lì fermo e racconta la sua storia. E’ stato bocciato in prima elementare. E quando comincia a raccontarlo ti vien quasi voglia di dire “e va beh ma allora cominciamo male”.

E’ stato bocciato in prima elementare il mio papà perchè aveva altro da fare e la notte dormiva poco. Suo padre lo portava a fare quello che i suoi fratelli maggiori facevano durante la guerra: prendere delle pietre, caricarle su un carro e portarle chissà dove. Subito dopo il pranzo, ammesso ce ne fosse uno, era il momento di consegnare il pane. Girava con un carretto di legno. Aveva dei calzoncini marroni bucati ed era biondo con i capelli ricci. Ho appurato che fosse davvero biondo con i capelli ricci guardando una foto. Papà ha solo una foto. Una foto a tre anni. Si passa poi direttamente a quando ne ha venti. E’ a Roma per il militare dentro una cinquecento e inventa storie alle tedesche per abbordarle raccontando di essere un attore famoso. In quell’intervallo papà non ha neanche una foto. Proprio come me ha uno spazio temporale inesistente. Quella foto a tre anni che lo ritrae con una patatina lessa nella mano destra  è il ricordo al quale sono più affezionata. Ha i capelli ricci. E’ biondo. Ha una sorta di salopette vecchissima e guarda l’obiettivo tenendo ben saldo il suo tesoro. Nonna gli raccontò che era felicissimo perchè quel giorno c’era una patata lessa piccola per tutti. Era talmente felice che gli fu concesso di andare per strada davanti la porta quasi a voler esprimere la sua felicità. Il gioco e il cibo insieme. Un fotografo passò e si innamorò di quel bambino meravigliosamente felice. Chiese a nonna di potergli fare una foto e fu così. Fu così che mio papà ebbe la sua prima e unica foto.

Molte volte quando fotografo penso a questo signore. Vorrei sapere come si chiamava. Vorrei sapere se ancora respira. Vorrei abbracciarlo e ringraziarlo. Vorrei portargli dei fiori sulla tomba. Perchè in quella foto c’è l’infanzia che il mio papà non ha mai avuto. In quella foto c’è il sacrificio di una vita per me. Papà si era fatto la promessa che sua figlia, perchè sapeva che  sarei stata femmina, non avrebbe condotto la sua vita. Non avrebbe tirato un carretto e avrebbe avuto tante foto.

Quando fu bocciato in prima elementare decisero per lui che non fosse il caso di perdere ulteriore tempo e che il pane andava consegnato e le pietre trasportate. Non si poteva certamente sognare. Per papà fu un colpo durissimo ma mai pensò di non perseguire il suo sogno. Era l’alieno della casa. Comprava libri con i soldi guadagnati e quando potè si iscrisse pure ad un corso serale per conseguire la licenza elementare e media. Totalmente a sue spese, è quasi stupido ribadirlo. Praticamente un pazzo. Additato da tutti come un tipo strano. Quando prese il diploma di geometra, perchè quel libro di Estimo servì a qualcosa, aveva all’attivo  mestieri e ore lavorative degne di un attuale quarantenne stakanovista. Non si è fermato un momento. Non ha smesso un secondo. Non ha speso un soldo. Con i soldi che guadagnava oltre i libri comprò dei pezzi di materiale elettrico. Lampadine, fili, spine e prese. Era convinto che nell’elettricità e elettronica fosse il futuro. Era convinto che un giorno avrebbe avuto un grande deposito con tante lampadine e tempo per studiare e realizzare tutti i sogni di sua figlia.

Papà ne era convinto e papà ci è riuscito. Anche se crede che i miei sogni debba ancora realizzarli. Non vi è un giorno che io non gli dica grazie. Non posso dargli più la buonanotte con un bacio come ho sempre fatto da quando sono nata ma al telefono quando gli dico “buonanotte papino. Grazie” mi sento rispondere solo “grazie a te amore mio”. Che altro sogno dovrei realizzare io? Io che ho sempre vissuto in un sogno che lui ha realizzato per me?

E allora ho cercato disperatamente di realizzargliene uno io. Fare la cuddura perfetta. Quella che gli ricordasse sua mamma. Perchè la cuddura perfetta non è dolce come si fa adesso. Non è biscottosa con codette sopra. Mica esistevano le codette di zucchero colorate. La vera cuddura era di pane. Di quel pane fatto in casa che ti racconta l’eternità. Conscia del fatto che non sarei mai riuscita ho sfornato quintali di cuddure e quando ieri papà ha detto “è più buona. E’ più buona di quella di mia mamma” ho capito da dove provenisse la mia indomita faccia di marmo.

Durante il periodo pasquale la proprietaria del panificio, che ancora ha un panificio, regalava una piccola cuddura a  fine giornata dopo che papà aveva consegnato il pane a tutto il paese. Era talmente felice. Un po’ come quella patata lessa. Più quando la faceva sua mamma ma non poteva certamente farla sempre. Papà ha sempre diviso quella cuddura con tutti i bimbi. Anche quelli più ricchi che avevano cento cuddure ad aspettarli in casa. Perchè il mio papà è sempre stato amico di tutti. Perchè il mio papà mi ha insegnato che siamo diversi solo nel cuore e che non importa cosa hai, cosa sei e chi sei.  E’ sempre stato tutto e non ha mai dimenticato da dove viene.

Per un momento ho  pensato di fare una versione cuddura con patata lessa ma troppo impegnata nella ricetta della cuddura perfetta inesistente non ho avuto il tempo. E’ in cima alla To Do List. E quando scrivo To Do List rido perchè un altro sogno di papà era imparare l’inglese. Stima imperitura per chi parla l’inglese. E lui l’inglese lo ha imparato. A detta sua non sa dire nulla ma non è così. Si vergogna tantissimo ma è capace e spigliato. Solo davanti a me e alla sua professoressa. Con il Nippotorinese ha giusto un po’ di timore reverenziale ma qualche volta ci lanciamo in teatrini maccheronici deliranti.

Chi mi guarda mi dice costantemente “sei uguale a tuo papà”. Fisicamente. Nel volto. Negli atteggiamenti. Nel mio modo di parlare. Nel mio modo di muovermi. Del resto mamma ci guarda basiti quando siamo seduti vicino e solo muovendo le labbra dice “uguali. uguali”. Non mi si può dire niente di più bello. Niente.

Sei uguale a tuo papà corrisponde ad una dichiarazione d’amore. Ad un sogno e al complimento che mai nulla potrà superare. In cuor mio so di non somigliare purtroppo a lui. Sono stolta e stupida. Ho tutto e pur ricordandomene non ho dovuto faticare per inseguire sogni. O almeno non quanto lui. Mi rende pazza il fatto che lui sia spudoratamente orgoglioso di me pur non avendone motivi oggettivi. Ma la cosa che mi fa più impazzire, ma di gioia, è che a me non importa davvero nulla delle mie fortune. A me importa solo di essere sua figlia. E non c’è un giorno che io non dica : Grazie Papà. Non avrei mai voluto vivere  senza essere tua figlia.

Questo per dire che generalmente quando mi spoglio totalmente dalle maschere ho difficoltà ad esprimermi ed è per questo che poche volte parlo di amori profondi. Ho solo una certezza però. Un giorno presenterò Max al mio papà. E’ un ingegnere, parla inglese ed è pazzo perchè pensa che io sia una persona meravigliosa. E l’ho corrotto solo con delle paste di mandorla, santo cielo. Per asserirlo convinto non sarebbe bastata la Trinacria tutta.

 Andranno d’accordissimo e mangeranno cuddura come non ci fosse un domani. Io dal canto mio mi strafogherò di pistacchi con Carla. Max merita il mio più profondo rispetto e stima. Ammetto di essere rimasta letteralmente sconvolta per la sensazione extrasensoriale di “rincontrarci” e non “conoscerci”. Grazie Max. Anche da parte del mio papà. Per aver avuto una delicatezza smisurata nel capire che per me è tutto difficile. E che sto cominciando pian piano a vivere. Veramente.

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Appurato che la ricetta perfetta per la cuddura non esiste e che la conosce solo la mia nonna che non c’è più,  lascio la ricetta della cuddura finta. Quella biscottosa e se ti va di leggerla devi cliccare qui >>>
Per chi volesse cimentarsi in quella originale però bastare usare la propria ricetta del pane. Quella ricetta antica che racconterà la vostra di storia.

L’Angolo del “Ma lo sapevate che?” : La cuddura , dal greco Kulloura significa focaccia, pane, ciambella. In Sicilia è rimasta l’abitudine di usare “cuddura” anche in riferimento a vari prodotti da pane. Uno su tutti il pane casalingo giornaliero dei Catanesi che si chiama proprio cuddura (alcuni lo hanno italianizzato in “cullura” ma fa piuttosto ridere e il vero siciliano aborre questa forma linguistica). Verso l’una entrando in qualsiasi panificio del catanese sarà un tripudio di ” Mi da una cuddura da un chilo?” , “Mi da una cuddura da mezzo chilo?” . La cuddura di pane a forma di ciambella vi è in questi due formati. Ha una crosta particolarmente croccante e una mollica morbidissima. Si presta benissimo al “pane cunsatu”, che è una tipica forma di pane con dentro prodotti semplici e gustosi. A volte soltanto l’olio, sale e pepe. Altre volte con pepato fresco siciliano, olive e peperoncino (salumi come se piovessero).

La cuddura però è anche un dolce tipico della tradizione Siciliana e si consuma generalmente proprio nel periodo Pasquale. Nelle tavole tradizionali della trinacria mai dovrebbe mancare. Nel tempo si è trasformato da semplice lievitato adornato con uova sode ad un dolcetto biscottoso che ne riprende soltanto la forma ma non l’essenza e la consistenza. Tradizione vuole che i fidanzati (ufficiali, mizzicccca!) se la regalino dando alla cuddura una forma a cuore. La forma della cuddura infatti può variare. Sono ricorrenti le seguenti forme: colomba, cestino, cuore, ciambella e campana.

Ma lascerei la parola a chi ne sa più di me:

Via Sicilian Wikipedia: La cuddura è pani di forma circulari. Poti èssiri macari nu duci di forma circulari chi si mancia a Natali. Pò essiri fatta cu l’ovu o senza ova, e è fatta di pani câ gigghiulena e pò essiri puru di biscottu aduci. Nti certi zoni si usa na varianti, dirivata dâ cuddura, chiamata cudduredda.

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Iaia
Iaia
Grazia Giulia Guardo, ma iaia è più semplice, è nata il 12 12 alle 12. Il suo nome e cognome è formato da 12 lettere ed è la dodicesima nipote. Per quanto incredibile possa sembrare è proprio così. Sicula -di Catania- vive guardando l’Etna fumante e le onde del mare. Per passione disegna, scrive, fotografa, cucina e crea mondi sorseggiando il tè. Per lavoro invece fa l’imprenditrice. Digitale? No. Vende luce, costruisce e distrugge. Ha scritto un libro per Mondadori, articoli per riviste e testate e delira pure su Runlovers, la comunità di Running più famosa d’Italia; perché quando riesce nel tempo libero ama fare pure 12 chilometri. Ha una sua rivista di Cucina, Mag-azine, che è diventato un free press online. È mamma di Koi e Kiki, un labrador color sole e uno color buio, mangia veg da vent’anni, appassionata di cinema orientale e horror trascorre la sua giornata rincorrendo il tempo e moltiplicandolo.

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