Di queste specialità culinarie cotte nel forno ho sproloquiato all’infinito. Sarà perché ancora oggi mi crogiolo nel dubbio se davvero per fare il Timballo del Gattopardo (quello originale intendo come Tomasi di Lampedusa descrive) devo avere davvero il coraggio di metterci dentro la crema pasticcera. Che sia pasta o riso li immagino sempre, questi chicchi e formati, tutti abbracciati che si tengono ben saldi. Dentro quella sauna, che è il forno, e si giurano amore eterno diventando un tutt’uno con gli ingredienti. Senza razzismo. Che ci sia carne o pesce o anche semplicemente verdure riescono a legarsi. Senza litigare. E stanno su. Senza paura di cedere. Di crollare.
Io se dovessi rinascere come una ricetta vorrei proprio essere un timballo. Duro, unito e saldo ma morbido e gustoso dentro. Un eccesso e un altro. Che non deve essere per forza sempre fresco e brillante come la pasta ma può essere riscaldato e ancora e ancora. Che si adatta alle esigenze ma mai sfigura.
Che meraviglia è il Timballo?!
E d’estate più che l’insalata di pasta direi proprio di affidarsi a lui. Il perché è presto detto. L’insalata di pasta va servita rigorosamente fredda e l’opzione “calda” non è contemplata minimamente. Mentre il timballo, a differenza della pasta che prevede solo l’opzione calda (o appiccicata sul piatto per essere sbattuta sul muro e rimanere attaccata), può essere servito in entrambi i modi. Come temperatura e desiderio vogliono. Hai voglia di qualcosa di caldo anche se ci sono quaranta gradi? Timballo riscaldato. Hai voglia di qualcosa di freddo ma pur sempre una bella botta di carboidrati? Timballo freddo.
Con pesce? Con carne? Con verdura? Con niente? Solo con formaggio e salsa? Timballo! E pare sia di origine siciliana in quanto araba, nonostante sia presente anche nei ricettari, che risalgono al 700, della cucina napoletana. Naturalmente molto in voga negli ambienti aristocratici, come testimoniato dalla presenza anche nel capolavoro di Tomasi di Lampedusa in occasione del ballo, evento mondano anzichenò. Mentre a Napoli la versione con il riso (il sartù) spopola, qui in Trinacria non si rinuncia a quello tipicamente composto dagli anelli siciliani.
Sul blog ne ho fatte diverse versioni e a fine post cercherò di ricordarli tutti (leggi: dimenticarli tutti) facendo piccolo sunto timballoso.
La Ricetta
Questa volta ho adoperato degli spinaci soltanto. Non è un timballo vegan per la presenza dell’uovo e del formaggio. Doveva essere servito al mio papetto (che vorrei eliminasse la carne, lo confesso. Sarà per questo motivo che appena mi giro si fa un panino con il salame? Meglio così però, ecco), a Nanda e al Nippo e non me la sono sentita di aggiungere tofu grattugiato, intrugli di soia e. E tanto non l’avrei mangiato considerata la mia avversione per la pasta (jammbellsoloriso *disse con tono siculnapoletano). E’ di talmente ridicola preparazione che spiegarla rasenterebbe il ridicolo.
Lessa gli spinaci e aggiusta di sale. Cuoci la pasta in acqua salata (metà cottura o poco più). Fa che gli spinaci perdano tutta l’acqua (ne hanno sempre molta) e frullali con un mixer aggiungendo un gran bel pugno generoso di pinoli e perché no? scorza di limone grattugiata. Sì sì. Anche qualche goccia di succo se è per questo. Tra l’altro aumenterà leggermente la presenza del ferro. Raccogli pasta scolata e spinaci e versa un uovo. Dipende dalla quantità potrebbero occorrerne due. Un po’ di pecorino siciliano grattugiato o se preferisci parmigiano e gira che ti rigira. Versa nella teglia leggermente unta. Se usi il silicone non c’è bisogno e in forno a 200 per 40 minuti. Dipende sempre dalla pasta che hai adoperato. Controlla. Puoi naturalmente arricchire con tocchetti di prosciutto. E se in questo caso adoperi riso, spinaci e prosciutto otterrai un mega arancinocataneseenorme. Di quelli al forno con giustappunto questi ingredienti.
Libero sfogo alla fantasia, come sempre.