Ricette Vegetariane e Vegane

Gosford Park e la Marmellata non industriale

Il doppio appuntamento, come se non ne bastasse uno giornaliero, a mezzanotte e dodici. Dopo l’articolo odierno della rubrica A cena con Oscar e la ricettina della Moscia al cioccolato di Minnie, di Rosemary’s Baby ( elaborata in chiave vegana), ecco  l’angolo giallo. Mancava giusto quello e non sarà di certo un caso isolato, perchè a me particolarmente caro.

Prima di blaterare a riguardo le due marmellate in omaggio a Gosford Park ( una nella versione dolce mentre l’altra come composta da accompagnamento a formaggi e carni) volevo velocemente ricordare che il 12 Febbraio è ormai davvero arrivato e vi è pochissimo tempo per spedire il vostro disegno partecipando allo pseudo-contest  ” Vuoi vincere una fotocamera? Disegnami!”. Se state fissando il monitor chiedendovi ” e che sta dicendo adesso stascemaqua?” basta cliccare qui e cercare o quantomeno tentare di capirci qualcosa (non sono molto chiara nello stilare “regolamenti”) .  Dato che tutti continuano a dirmi ” maiononsodisegnare” vorrei sottolineare che non è una gara di disegno ma davvero l’opposto. Capito questo, la fotocamera è vosta.

 

E ciancio alle bande. Ecco qualche appunto in cucina.

Ne ha ricevute un bel po’ di nomination agli Oscar questo Gosford Park: Migliore sceneggiatura originale, Miglior film, Migliore regia, Miglior attrice non protagonista (a due attrici diverse), Migliore scenografia e Migliori costumi. Senza contare i Golden Globe: Migliore regia, Nomination Miglior film commedia o musicale, Miglior attrice non protagonista (anche qui a due attrici diverse) e migliore sceneggiatura. E tutta un’altra sfilza di statuette, nomination e premi in un arrestabile tripudio ad Altman.
A me questo film è piaciuto. In primis perchè l’ambientazione della cena con delitto è una delle mie fisse adolescenziali e di sempre (avevo giusto comprato anche il dominio Party in Giallo che rimane l’ennesimo progetto nel cassetto per via del tempo).
Ci sono tutti gli ingredienti per un romanzo giallo deduttivo della classica tradizione inglese; compreso il maggiordomo ebbene sì. Già Dieci piccoli indiani era stato nell’adolescenza uno dei miei gialli preferiti, ben più di Assassinio sull’Orient Express lo confesso, ma  questa versione del nuovo millennio di Altman non mi è dispiaciuta affatto. C’è il sempreverde rapporto non troppo rigido come vuole apparire tra le diversi classi sociali e caste e le incommensurabili ipocrisie dell’epoca. Affari sporchi e nascosti con relazioni segrete e pubbliche. Inconfessabili dinamiche all’interno di famiglie apparentemente unite, costumi dell’epoca ben confezionati e una fotografia semplice per certi versi e senza troppe pretese, lontane da quelle visionarie e oniriche che mi catturano, ma ugualmente indimenticabili. Gli utenti di Imdb gli danno un 7.1 che non è affatto poco contando che Frankenstein Junior ha 8 (è un metro di giudizio tutto personale, chiaramente. Perchè io a Frankenstein Junior avrei dato tranquillamente 12 visto che otto è lo stesso voto dato a un Avatar che meritava 3. No dai, facciamo 2).
Ricordo uno splatter simpaticissimo dove si mangiavano bulbi oculari in zuppe di sangue e nipoti con dita mozzate giocavano con gemelli posseduti da qualche demonio. Non ricordo neanche esattamente come si chiamasse questa mia visione adolescenziale ma credo proprio appartenga a qualche cult di autore che sarà mia premura ritrovare nei cassetti della memoria ed estrapolare. In questo film vi era una sorta di “caccia all’assassino”. Non che le personalità presenti non potesserlo esserlo nella totalità, considerato che c’era pure un pazzo con una sorta di motosega che tagliava arti ai passanti, ma in tutto quel contesto delirante io ero davvero affascinata dalla questione “giallo”. Catturata, presissima dallo scoprire chi e cosa.
Se odio fortemente la fantascienza, che a mio avviso rimane una brutta copia della fantasia onirica ed è quella riservata alla massa (de gustibus non disputandum est), amo incommensurabilmente, oltre che l’horror come è stato più volte ribadito, anche il giallo.  Ed io il giallo, quello vero  mozzafiato,  l’ho sempre immaginato durante una cena. Lontani da tutto e tutti quando ci si deve confrontare con la propria quotidianità per alcuni e diversità per altri e un turbine di segreti e misteri tiene in vita questo confuso teatrino che pian piano svelerà nefandezze.
Sarà per questo che tre dei racconti che ho scritto in vita mia dal sapore “giallo” sono tutti ambientati durante una cena, un pranzo, una colazione, una cucina.una.insomma.ecco.
Film come Gosford Park non ce ne sono parecchi; o per meglio dire non ce ne sono di questa caratura e importanza. Diretti da registi del livello di Altman con attori importanti e preparati e con fotografia e sceneggiatura degne di questo nome. Gosford Park per chiari motivi quindi è un film intriso di cibo e ve ne è in ogni dove. Soprattutto nelle scene ambientate nei sotterranei dove la servitù è intenta ad accontentare i diversi gusti degli ospiti in casa provenienti da diverse parti del paese.
A tal proposito degna di nota è la figura di  un vegetariano, che per l’epoca chiaramente era cosa ben assurda. Mangiava il pesce però ed è per questo che la cuoca oltre ad un crostino al formaggio gli servirà una gustosissima zuppetta di pesce, tranquillizzando la padrona di casa che nel pallone non riusciva assolutamente a pensare cosa mai avrebbero potuto servire in assenza della carne.
Per la rubrica “A cena con Oscar” però non ho scelto le quaglie arrosto che vengono servite prima del delitto e neanche le patate e l’arrosto. Neanche il purè e la zuppetta di verdure mangiate dalla servitù prima che cominci il servizio nè le diverse colazioni inglesi con tanto porridge, uova fritte e salsicciotte senza disdegnare i fagioli.
Ho scelto una semplicissima Marmellata non industriale.
Constance Trentham, che mi ricorda un po’ la vecchia rimbambit antipatica mamma di Rose in Titanic (uuuuuuuuuh quanto non la sopportavo!), difatti durante la prima colazione si stupisce del fatto che le venga servita della marmellata industriale. Ben conosceva le doti culinarie della cuoca e vedersi recapitare un’insulsa conserva non confezionata dalla medesima rappresenta per lei quasi un affronto.
Questa marmellata rappresenta un po’ lo sfregio e la durezza delle classi più abbienti, simbolo poi di questo genere dove la scala sociale è sicuramente l’incontrastata protagonista.
Per l’occasione ho confezionato quindi una marmellata al contrario non industriale per nulla, ma fatta con delle buonissime arance che ultimamente ho la fortuna di mangiare giornalmente (anche in insalata con un po’ di aceto balsamico, sale e pepe macinati sul momento. Provato mai?) e l’ho fatta usando le classiche dosi della marmellata ma senza pectina.
Ho pesato quindi 4 arance e dopo averle sbucciate e pulite ho calcolato lo zucchero in egual quantità. Ho messo su un pentolino con dell’acqua che mi premuravo di aggiungere quando evaporava. Il tutto con una stecca di cannella che a fine cottura ho tolto. Ho inserito anche un’intera scorza di arancia tagliata sottilmente e poi a quadretti piccolissimi dopo averla privata interamente della parte bianca, perchè come si sa è l’essenza amara che va eliminata. Lo stesso procedimento per la marmellata di pere. Ne sono venuti fuori due barattolini piccoli per ogni frutto che ho conservato in vasetti sterilizzati proseguendo come nella classica preparazione. Nella pera ho aggiunto un po’ di passito per insaporire un po’ e non ho usato lo zucchero in modo da poter accompagnare questa composta anche ai formaggi stagionati; accoppiata che è poi la passione del Nippotorinese.
    La Rubrica “A cena con Oscar” e per la sezione Cibo Cinema e Cartoon sinora comprende le seguenti ricette:

 

QUESTO POST È STATO PUBBLICATO IL: 

Iaia
Iaia
Grazia Giulia Guardo, ma iaia è più semplice, è nata il 12 12 alle 12. Il suo nome e cognome è formato da 12 lettere ed è la dodicesima nipote. Per quanto incredibile possa sembrare è proprio così. Sicula -di Catania- vive guardando l’Etna fumante e le onde del mare. Per passione disegna, scrive, fotografa, cucina e crea mondi sorseggiando il tè. Per lavoro invece fa l’imprenditrice. Digitale? No. Vende luce, costruisce e distrugge. Ha scritto un libro per Mondadori, articoli per riviste e testate e delira pure su Runlovers, la comunità di Running più famosa d’Italia; perché quando riesce nel tempo libero ama fare pure 12 chilometri. Ha una sua rivista di Cucina, Mag-azine, che è diventato un free press online. È mamma di Koi e Kiki, un labrador color sole e uno color buio, mangia veg da vent’anni, appassionata di cinema orientale e horror trascorre la sua giornata rincorrendo il tempo e moltiplicandolo.

Seguimi anche su Runlovers

Tutte le settimane mi trovi con una ricetta nuova dedicata a chi fa sport

MUST TRY