Ricette Vegetariane e Vegane

Mary and Max: Latte condensato e Cioccolato

 Adam Elliot, australiano classe ’72, è il padre di Max and Mary, il lungometraggio di animazione più bello che io abbia mai visto. Lo stesso che mi ha fatto pensare a Pani e sostenere con fermezza mezza addormentata “domani è la prima cosa che devo dirgli” per poi dimenticarmelo puntualmente. E’ chiaramente la mancanza di fosforo, devo farmene una ragione.

Il più bello mai visto. Non così per dire.
A sentirmi dire “ha superato nettamente Burton” si rimane sbigottiti. Un po’ come si resterebbe davanti all’enunciazione corretta della teoria sulla relatività da parte di Flavia Vento, per capirsi.

Pur non essendo tifosa di nulla e di nessuno, si evince dal mio sconfinato amore nei confronti di Burton e Lynch che qualsiasi ciofeca loro possano partorire, ammesso che ci riescano pur sforzandosi incommensurabilmente, per me rimarrebbe sempre arte e genio allo stato puro. In sintesi non si poteva credere che in casa si sarebbe mai sentenziato senza alcuna volontà di rifletterci un secondo di più che la migliore storia nonchè animazione in assoluto mai vista è e rimarrà, fintanto che un degno avversario approderà sugli schermi: Mary and Max.

 

Pur essendo prodotti completamente diversi e non potendo mettere nel mucchio la divinità Miyazaki, perchè come prodotto è necessariamente più vicino al noir visivo di Burton, semmai dovessimo pure azzardare un paragone: sì. Ebbene sì. Supererebbe anche quello.

Max and Mary non è stato distribuito in Italia (ma ci siamo abituati perchè nel Bel Paese se non è una schifezza apocalittica commerciale per menti limitate, giusto per dirne una, non va in onda nulla) ma agli Oscar non ha ricevuto alcuna candidatura o menzione o qualsivoglia premio speciale. Uscito nelle sale nel 2009, e direi che già siamo in un range di tempo plausibile per lamentarsi, è talmente ricco di emozioni e profondità che ti fa sentire grato, ma grato davvero, perchè si ha avuto l’opportunità di vederlo.

Max and Mary sbaraglia qualsiasi cosa e perfora l’anima. In questo stop motion di argilla con i colori che più amo e solo una nota rossa nel bianco e nero e seppia, ci sono stelle e cioccolato. C’è obesità, malattia, poesia e musica. Ci sono tutti gli ingredienti della mia vita e dei miei dolori. Ho sentito talmente tanto vicino Max and Mary da proporre al Nippotorinese un pelligrinaggio in quel dell’Australia. Fosse solo per omaggiare Elliot con una statua sotto casa. Dovessi costruirla interamente con tutte le mie matite e pupazzetti.

Non solo commuove e ti fa perdere ma insegna. Insegna il concetto più profondo dell’amicizia e quello che io in cuor mio ho sempre sperato. Il fatto che si capisse la mia malattia e difetto e si comprendesse la paura di relazionarmi. L’ansia. Per le prestazioni sentimentali per cui nutro turbamenti. Vedere Max and Mary è stato come ripercorrere la mia vita; la sintesi è una delle scene finali dipinte di nero tra quadri, volti e fotografie con pillole di valium e cappi al collo. E’ stato come entrare in un quadro visivo onirico visto da altri occhi che in un modo completamente personale ti racconta verità universali.

Perchè Max e Mary racconta proprio la vita di tutti e sorprendentemente tutti possono rispecchiarcisi. Nell’agorafobia e nei panini al cioccolato; io che di panini al cioccolato ho vissuto. E’ pieno e strapieno di cibo Max e Mary. E’ un parto bulimico visivo di cibo e associa odori a persone e sensazioni a timballi preconfezionati di pasta che in realtà sono Noodles.

Si apprezza la voce profonda e magistrale del narratore quando alla sindrome di Asperger di Max viene dato il timbro del premio oscar Philip Seymour Hoffman e Toni Colette per lei che incontrerò nel paradiso della cioccolata, ne sono certa.  Ci sono citazioni mentre Mary all’università legge “L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello”.

Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte narra la difficoltà di comprendere le emozioni e la mimica facciale. Affonda nel baratro di avere paura dei colori e della logicità illogica di essere semplicemente quello che si è. Quando Mary pensa di associare al cibo una lettera e che quindi il Monday, lunedì, mangerà solo marshmallow, milkshake e mustard, Pier non si è potuto non girare e accarezzandomi i capelli ha capito quanto fosse importante anche per me mangiare per colore. Perchè ultimamente sì. Mi sono convinta che devo mangiare solo le cose delle stesse colore. E allora se mangio la zuppa di zucca accoppio l’arancia e mai la mela e se mangio le zucchine posso solo mangiare il kiwi ma è il giorno che mi piace meno perchè ho difficoltà con il verde anche nel cibo.

Si comincia con il papà che attacca i fili delle bustine del the e di questa predilizione per l’Earl Grey che è anche un po’ mia. La madre che prende in prestito bastoncini di pesce e inforna cupcake ascoltando le partite di cricket e tracannando ancora e ancora Sherry che verrà purtroppo confuso per altro. Mary ha un gallo come amico e non ha amici perchè gli unici che ha le pisciano sopra i panini con la carne in scatola. L‘anello che cambia colore a secondo dell’umore rievoca un film adolescenziale che amo molto; quello in cui il biondino di mamma ho perso l’aereo  muore divorato dalle api.

 

 

 

Non ho potuto non soffermarmi su quel chocolate hot dog che Max dice di avere inventato.

Anche io mangiavo panini con il cioccolato dentro e se Max ne faceva fuori 36 io credo di averli contati pure ma forse l’ho battuto. Però certo dipende da quanto fosse grande il panino di Max rispetto al mio.

Ho appuntato diligentemente qualsiasi ricetta. Non me ne è sfuggita una. Neanche una. E allora Pier premeva stop e io segnavo tutto.

  • Lunedì: Knish Pataten Glicks supersalato!
  • Martedì: timballi di pasta (Noodle Kugel)
  • Mercoledì : bastoncini di Pesce Captan Salty’s
  • Giovedì panzerotti al formaggio (Cheezy Blintz)
  • Venerdì: crocchette di pollo chicken nuggets

Sabato: una ricetta inventata da Max e una su tutte l’hamburger con gli spaghetti in scatola.

Lo psichiatra di Max diceva che non si dovrebbe mai superare il peso del proprio frigorifero e che si dovrebbero mangiare razioni ben inferiori al peso specifico della propria testa; Max aveva mangiato una volta un’anguria ben più grande. E suppongo pure io e più del frigo stesso. Più del frigo di tutti i  palazzi.

Gli obiettivi di Max non erano poi dissimili dai miei e per certi versi potrei usare il presente. Anche io ho sempre voluto poco e in quel poco c’erano matite e pupazzetti. Anche cioccolata e quello che non ho avuto mai. Un vero amico.

Ecco perchè io davvero l’ho sempre tanto desiderato e nonostante si siano susseguiti volti, facce, racconti e indistintamente sessi che mi hanno fatto credere di volerlo essere  io un vero amico non ce l’ho avuto mai. Il mio vero amico è stato ed è sinora l’uomo che am

Non sono mai andata alla seduta dei mangioni anonimi ma quando l’inquadratura virava sul fondoschiena di Max percepivo ancora il mio dolore di dover stare davanti a qualcuno. Quando al liceo mi preoccupavo più se qualcuno mi stesse dietro. Avevo paura di occludere la visuale. Il mio sogno era stare al primo banco ma “dovevo” stare all’ultimo proprio perchè non volevo in alcun modo essere di intralcio visivo. Ho avuto il mio Mister Ravioli e ho sognato anche io un amico di penna. Ce l’ho anche avuto ma quando dal Ghana mi ha fatto sapere che voleva trasferirsi a casa mia con i suoi sette fratelli mamma mi ha proibito di scrivere ancora.

Nel latte condensato e nello zucchero mi sono rifugiata. In quel “I’m sorry” chiedendomi se scusa dovevo chiederlo a qualcuno. Quando la risposta è stata no, non mi sono sentita piena di me ma indifesa. Indifesa a tal punto da farmi tenerezza tanto quanto quel pon pon triste sul cappello. Max crede che Mary odori di gamberi e alla fine Mary scopre che Max odora di liquirizia. Un rapporto decennale se non più tra odori mai sentiti ma percepiti nella mente e pasti consumati. Pesci morti mentre si preparano ricette al cioccolato e diverse e disparate forme di tristezza sotto forma di barretta. Che sia una Cherry Pie o un formaggio al gusto formaggio. Che sia dentro un panino o dentro un timballo. C’è anche la torta Lamington e un gelato fatto con una barretta sfracellata da un viaggio Australia-America e tanti dodici.

Così tanti dodici da fare paura. C’è pure un 48 e quattro più otto fa proprio dodici e pure la fatina del grasso che succhia il grasso la notte e lo porta via. Anche io mi sono sempre chiesta perchè non esistesse ma ci fosse solo una versione azzurra che trasformava bimbi di legno in bambini adorabili.

E per i bimbi obesi che non riescono a smettere di mangiare pane e cioccolato una fatina non c’è?

Zuppe con capelli e compleanni consumati con un cupcake al cioccolato e c’è pure la ricetta del pollo con le caramelle e il ketchup che vorrò fare insieme ai choco chip blue cheese. Ci sono i peli blu dell’ombelico e le domande esistenziali della vita su dove sono nati i bambini. Se in una lattina di coca cola o dentro un boccale di birra.

Si vincono lotterie che se messe a paragone con una lettera mancante nel cuore valgono davvero nulla. A dimostrazione del fatto che i soldi davvero possono crearti solo qualche problema in più e non in meno. Quest’assurda credenza che sia diverso e contrario ci rende tutti senza lacrime. E per fortuna qualcuno le raccoglie per noi e le mette in una bottiglia.

Il disagio dell’amore e dell’affetto attraverso un tour culinario astruso e confuso senza alcuna ragione. E’ una malattia Max and Mary che ti entra dentro e non va via. E’ l’esatta ispirazione per quello che ho sempre inseguito e cercato disperatamente senza che io lo volessi. In Mary c’è un po’ di Oscar di Molto lontano incredibilmente vicino e un po’ di Christian de Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte in Max. E’ come se ogni tassello di questo puzzle stesse prendendo corpo.

Mi trovo sempre più spesso davanti a questo enorme tavolo dove muovo tasselli di diversa grandezza e colore. E prendono corpo e forma. Dando ad ogni luogo, viso e sensazione una giusta connotazione. Sistemando le lettere che troneggiano in alto.

E’ da anni ormai che mi cerco disperatamente cercando di capire se davvero vale la pena di volermi bene.

E io finalmente quella risposta la comincio ad intravedere. Perchè non c’è una N e una O. Sembra proprio che ci sia una esse e una i. Potrei sbagliarmi ancora eh. Ma a me sembra proprio una esse.

Il cibo preferito di Mary era il latte condensato. Il cibo preferito di Max era il cioccolato. Ho deciso di fare un semplicissimo fudge in onore di questa amicizia meravigliosa. La comunione del latte con il cioccolato fondente. E ho voluto aggiungermi. Volevo essere una macchia anche io. Nella speranza di poter godere di loro due e del loro significato. Mi sono messa sotto forma di pistacchio. Come un elemento verde disturbante ma che al tempo stesso amo. A dimostrazione del fatto che sì. Puoi essere paura pura o semplicemente averne. Ma credere in qualcosa. Come la comunione del latte condensato e cioccolato. Come semplicemente l’amicizia.

Ingredienti per sei persone circa: 350 grammi di cioccolato fondente (70% di cacao minimo), 30 grammi di burro, 340 grammi di latte condensato, 150 grammi di pistacchi interi non salati (io ho usato quelli di Bronte).

Metti il cioccolato tritato, il latte condensato e il burro insieme a un pizzico di sale in una pentola dal fondo spesso a fuoco basso. Mescola per bene mentre si scioglie. Aggiungi i pistacchi interi e mescola per bene. Versa il composto piuttosto compatto in una teglia dove hai appoggiato precedentemente della carta da forno e livella con la spatolina a uno spessore di 1-2 cm circa.

Lascia raffreddare in frigo e quando è solido taglia a quadrotti e servi freddo. Puoi pure tenerlo in frigo e servirlo ghiacciato perchè è ottimo e non avrà mai una consistenza eccessivamente dura.

Update: C’è anche la versione Fumetto Ricetta di questo Fudge al Cioccolato e Pistacchi. Per leggerla clicca qui 

Questa Ricetta fa parte della sezione Cartoon e Cibo, che comprende anche Cinema e Cibo e A cena con Oscar. Sinora sono state eseguite le seguenti ricette:

 

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Iaia
Iaia
Grazia Giulia Guardo, ma iaia è più semplice, è nata il 12 12 alle 12. Il suo nome e cognome è formato da 12 lettere ed è la dodicesima nipote. Per quanto incredibile possa sembrare è proprio così. Sicula -di Catania- vive guardando l’Etna fumante e le onde del mare. Per passione disegna, scrive, fotografa, cucina e crea mondi sorseggiando il tè. Per lavoro invece fa l’imprenditrice. Digitale? No. Vende luce, costruisce e distrugge. Ha scritto un libro per Mondadori, articoli per riviste e testate e delira pure su Runlovers, la comunità di Running più famosa d’Italia; perché quando riesce nel tempo libero ama fare pure 12 chilometri. Ha una sua rivista di Cucina, Mag-azine, che è diventato un free press online. È mamma di Koi e Kiki, un labrador color sole e uno color buio, mangia veg da vent’anni, appassionata di cinema orientale e horror trascorre la sua giornata rincorrendo il tempo e moltiplicandolo.

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